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Reati, non peccati

di Maria Squarcione

E' quello che avrei voluto sentire levarsi forte e chiaro dalla piazza di Roma e delle altre città italiane, oggi. E invece niente. E invece abbiamo ascoltato l'autorevole suora o la nota attrice, ma nessuna che abbia detto con chiarezza: "L'autodeterminazione della donna non è in discussione. L'autodeterminazione non è un elastico che può essere tirato solo quando fa comodo. O c'è o non c'è. E per ogni persona, c'è. E vale per la donna che decide di abortire, come per quella che invece di fare la cameriera preferisce viaggiare su un Cayenne, parcheggiato all'Olgettina. Noi oggi siamo qui perché non siamo d'accordo sui criteri di selezione della classe dirigente di questo Paese, che prevede che solo chi fa parte di certi entourage possa accedere alle cariche pubbliche, alla faccia della preparazione e del merito. Noi siamo qui perchè vogliamo che i partiti diventino luoghi democratici, con regole chiare e trasparenti, in ossequio al dettato costituzionale. Noi siamo qui perché rivendichiamo il nostro diritto ad essere pienamente responsabili di noi stesse e delle nostre scelte, qualsiasi esse siano; perché non intendiamo più essere gregarie di nessuno, tantomeno di quegli uomini che magari oggi sfilano con noi e ci appoggiano, tranquilli del fatto che, una volta finita questa manifestazione, tutto tornerà come prima, perché nessun attentato è stato realizzato al loro potere, nessun tema di fondo è stato aggredito. Noi siamo qui perché rivendichiamo il diritto/dovere di intervenire su tutti gli argomenti che riguardano questo Paese, e non solo su quelli de "il corpo delle donne". 
Certo, quando c'è di mezzo "il corpo delle donne", il discorso si fa delicato. Ma quello riguarda molto più la tratta, la riduzione in schiavitù o certe immagini pubblicitarie e meno, molto meno la logica sottesa ad un cosiddetto stile di vita del "lavoro-guadagno-pago-pretendo", che prevede che un vecchio ricco ultrasettantenne si contorni di giovani donne e giovanissime per riempire il proprio tempo ludico. Di questo ne sono personalmente disgustata, ma non lo giudico moralmente. 
Come non giudico le decine e decine di coppie scambiste o le studentesse e casalinghe che numerose oggi in Italia si prostituiscono per libera scelta. Per farla breve, non sono affatto interessata ai costumi sessuali di nessuno, al di fuori dei miei e di quelli dei miei eventuali partner. E siccome ho introiettato i valori un po' ottocenteschi del decoro, della decenza e della riservatezza, rimango inorridita quando dei propri costumi sessuali se ne fa pubblico uso e quando pubblicamente questi vengano usati. Anzi, mi sembra davvero una violenza inaccettabile. Mi auguro dunque che, qualora veramente esistano foto intime del "premier", queste non vengano mai pubblicate. Mi sentirei a disagio per il suo disagio, esattamente come mi ci sento quando osservo in televisione alcune esibizioni che offendono palesemente il mio senso della dignità della persona. In quelle circostanze cambio canale o osservo per cercare di capire in che mondo vivo. Ma senza giudicare la libera scelta di giovani e belle donne che liberamente usano il proprio corpo e decidono di entrare in un meccanismo che, per definizione, le usa per come appaiono e non per quello che "sono". Di solito, di fronte a tutte queste manifestazioni e a molte altre infinitamente più pornografiche (la faccia di Signorini mentre intervistava Ruby, ad esempio), penso che anche per il mondo dello spettacolo potrebbero esserci regole che rimandano alla capacità artistica, così come per il mondo della politica dovrebbero esserci regole che rimandano alla costituzione. 
Ma quello che mi rende davvero spaesata in questa melassa che mischia tutto senza mettere a fuoco niente è l'inevitabile ricorso ai valori cattolici: in questa Italia secolarizzata, e non da oggi, l'opposizione perde ogni occasione per evitare di scandalizzarsi moralisticamente e di "chiedere permesso" alla Chiesa per alzare la voce, preferendo questo ad una chiara affermazione laica del dovere di perseguire reati e non giudicare i peccati.
SQUARCIONE: IL RAPPORTO CENSIS SEGNALA GRAVE SOFFERENZA DELLA SCUOLA PUBBLICA
lunedì 6 dicembre 2010
«Il rapporto Censis 2011 sulla situazione sociale della Nazione rileva come i contributi volontari versati dalle famiglie rappresentino sempre di più un’entrata fondamentale per i bilanci delle singole scuole pubbliche italiane e come sia aumentato il ricorso alle ripetizioni». Così la responsabile Scuola del Partito Socialista Italiano, Maria Squarcione. «Questi dati – continua la Squarcione - che si innestano su una riforma del sistema scolastico fortemente segnato dai tagli decretati dal binomio Tremonti-Gelmini, confermano dello stato di grande sofferenza della scuola pubblica italiana, sia dal punto di vista della gestione che da quello della qualità della didattica. L’impegno del Partito Socialista Italiano è fortemente improntato ad una rinnovata visione del sistema scolastico pubblico che garantisca un elevato livello formativo in un quadro di garanzie culturali e organizzative proprie di una istituzione laica, solida e moderna».

“TI AMO DA MORIRE”: BREVE DOSSIER SULLE DISPARI OPPORTUNITA’ 

di Maria Squarcione

«Sono stimate in 6 milioni 743 mila le donne da 16 a 70 anni vittime di violenza fisica o sessuale nel corso della vita (il 31,9% della classe di età considerata). 5 milioni di donne hanno subito violenze sessuali (23,7%), 3 milioni 961 mila violenze fisiche (18,8%). Circa 1 milione di donne ha subito stupri o tentati stupri (4,8%). […] Il 24,7% delle donne ha subito violenze da un altro uomo. Mentre la violenza fisica è più di frequente opera dei partner (12% contro 9,8%), l’inverso accade per la violenza sessuale (6,1% contro 20,4%) soprattutto per il peso delle molestie sessuali. […] Nella quasi totalità dei casi le violenze non sono denunciate. Il sommerso è elevatissimo e raggiunge circa il 96% delle violenze da un non partner e il 93% di quelle da partner. Anche nel caso degli stupri la quasi totalità non è denunciata (91,6%). È consistente la quota di donne che non parla con nessuno delle violenze subite (33,9% per quelle subite dal partner e 24% per quelle da non partner). […] Le violenze domestiche sono in maggioranza gravi. Il 34,5% delle donne ha dichiarato che la violenza subita è stata molto grave e il 29,7% abbastanza grave. Il 21,3% delle donne ha avuto la sensazione che la sua vita fosse in pericolo in occasione della violenza subita. Ma solo il 18,2% delle donne considera la violenza subita in famiglia un reato, per il 44% è stato qualcosa di sbagliato e per il 36% solo qualcosa che è accaduto. Anche nel caso di stupro o tentato stupro, solo il 26,5% delle donne lo ha considerato un reato. Il 27,2% delle donne ha subito ferite a seguito della violenza. […] 1 milione 400 mila donne hanno subito violenza sessuale prima dei 16 anni, il 6,6% delle donne tra i 16 e i 70 anni. Gli autori delle violenze sono vari e in maggioranza conosciuti. Solo nel 24,8% la violenza è stata ad opera di uno sconosciuto. Un quarto delle donne ha segnalato un conoscente (24,7%), un altro quarto un parente (23,8%), il 9,7% un amico di famiglia, il 5,3% un amico della donna. Tra i parenti gli autori più frequenti sono stati gli zii. Il silenzio è stato la risposta maggioritaria. Il 53% delle donne ha dichiarato di non aver parlato con nessuno dell’accaduto. 674 mila donne hanno subito violenze ripetute da partner e avevano figli al momento della violenza. Il 61,4% ha dichiarato che i figli hanno assistito ad uno o più episodi di violenza. Nel 19,7% dei casi i figli vi hanno assistito raramente, nel 20,1% a volte, nel 21,6% spesso».
Così “recita” l’ultima ricerca ufficiale dell’ISTAT sulla violenza sulle donne in Italia, datata 2007, e questa è la fotografia che ne emerge. Altri dati - oltre a questi reperibili presso il sito dell’ISTAT (http://www.istat.it/dati/catalogo/20091012_00/Inf_08_07_violenza_contro_donne_2006.pdf) e (http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20070221_00/testointegrale.pdf) – che ci raccontano come 119 siano state le donne uccise in Italia nel 2009 e 115 già solo fino a ottobre 2010 (e di queste il record è detenuto dal nord, in ragione del 28%), completano il quadro sconfortante di una società in cui una donna su tre subisce almeno una forma di violenza da parte di un uomo, durante l’arco della propria vita.
La violenza personale spesso, come si evince chiaramente dalla ricerca ISTAT, non viene percepita dalla stessa vittima come tale, quando questo fenomeno è causato da un parente, un familiare, un partner. Aspetti psicologici a parte, viene da pensare che la violenza sulla persona si accompagna ad una più generale violenza sociale, che evidentemente non prevede forme di riprovazione collettiva abbastanza potenti da scoraggiarne l’uso e da infondere fiducia nelle vittime.
La legge contro lo stalking è sicuramente un deterrente necessario “di base”, ma insufficiente a contrastare un fenomeno di questa portata e, a quanto dicono i dati, in continua crescita. Le campagne di sensibilizzazione, come quella promossa dall’Osservatorio nazionale sulla salute della donna (<http://www.ondaosservatorio.it/>) e il Fatebenefratelli di Milano che hanno redatto un vademecum destinato agli operatori sanitari per individuare le vittime di violenza domestica e prevenire la tragedia, intervenendo ai primi segnali, sono necessarie ed indispensabili per contrastare un fenomeno culturale e sociale insieme.
I provvedimenti repressivi e di tutela – sacrosanti ed indispensabili – possono e devono accompagnarsi a misure economiche e a forme di relazione sociale che, tutte insieme, concorrano a stabilire un humus legislativo e culturale favorevole al risanamento della discriminazione della donna che è ancora una realtà in Italia come in Europa, e che copre uno spettro d’azione che va dagli abusi domestici e non, passando per la disoccupazione e la disparità di trattamento economico,  fino al limitato accesso agli incarichi di responsabilità.
È perciò indispensabile e urgente, soprattutto in Italia, l’approvazione di un bouquet legislativo che investa vari ambiti e che sancisca un diritto delle donne a tutto campo. Provvedimenti che, raccogliendo il meglio della normativa europea, intervengano almeno sull’approvazione delle unioni civili per etero e omosessuali; sulla parità politica e di accesso alle cariche, rendendo democratiche le strutture dei partiti politici; sul lavoro e sui congedi parentali, basandoli sulla logica della solidarietà, per la quale le donne non debbano più essere penalizzate dalla maternità e da una impropria attività di welfare; sulle violenze sessuali e coniugali, e sull’obbligatorietà dell’educazione sessuale. Solo con un intervento legislativo generale saremo in grado di orientare tutta la società alla parità dei diritti e delle opportunità. Solo una forza socialista e progressista può promuovere questo processo. Non perdiamo altro tempo.

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Daniela Mignogna
per il gruppo nazionale di MAMME H 


Gentile Onorevole Giovanardi,
parlo a nome di tutte le madri di ragazzi disabili gravi e gravissimi presenti in ogni regione italiana.

Nei giorni scorsi abbiamo letto il Suo intervento riguardo quell’increscioso episodio di insensibilità che ha coinvolto un padre di Brescia, con difficoltà economiche e l’impossibilità di pagare la retta della mensa scolastica ad uno dei 3 figli.
La risposta del burocrate di turno è quanto di più indecente abbiamo sentito negli ultimi anni, così come indecente è stata la mancanza di ogni provvedimento, perché persone di questo tipo non devono più avere alcun privilegio economico, politico e sociale. Ma ormai siamo abituate a vederne e a sentirne di ogni specie.

Avendo Lei la delega alle Politiche della Famiglia, mi permetto di sollecitarLa ad una particolare attenzione nei riguardi delle famiglie con figli disabili. Queste, spesso numerose, hanno grossi problemi finanziari dovuti alle cure mediche e riabilitative che lo Stato non sempre garantisce.
Ci sono sempre in aggiunta delle difficoltà lavorative ed organizzative che portano i genitori sul ciglio di un baratro. C’è chi salta nel vuoto insieme al figlio e chi, con grande fatica, si volta indietro e decide invece di continuare a lottare, a farcela , ad impegnarsi in prima persona proprio per quel figlio che ha gli stessi diritti degli altri e che deve vivere con dignità.

Da quando noi madri abbiamo deciso di scendere in piazza per far conoscere la nostra realtà, ci siamo accorte che c’è un’ignoranza di fondo. Nessuno sa cos’è il nostro quotidiano, cosa significa essere il punto di raccordo di diverse esigenze all’interno della famiglia. Smettiamola di parlare di spesa improduttiva, di un peso per lo Stato. Questa politica ha perso ogni pudore e si lascia andare a qualsiasi tipo di esternazione occasionale che mortifica profondamente chi vive nella disabilità come unica possibilità di vita

A questo punto mi rivolgo a Lei affinchè ci sia maggiore attenzione, collaborazione e risorse per questi nuclei familiari che fino ad oggi non hanno avuto il tempo materiale per manifestare il loro dissenso nei riguardi delle scelte di politica economica del Governo.
Sappiamo della Conferenza Nazionale della Famiglia che si terrà a Milano il prossimo novembre.
Crediamo sia opportuno che le relazioni abbiano un vero riscontro nel quotidiano, che non si faccia solo sfoggio di belle parole, confinate sotto periodi di campagna elettorale.

Attendo un Suo riscontro. In attesa Le porgo cordiali saluti




 

«OCCUPIAMOCI DI FUTURO» è il titolo che sintetizza il nostro dibattito congressuale ed è un titolo che personalmente mi entusiasma.
Ma per sviluppare questa nostra ispirazione sul futuro, bisognerà occuparsi di PRESENTE: ci proverò, consapevole però che si tratta, nello stesso tempo, di un’operazione facile e difficile.
E’ facile perché articolare un ragionamento sull’analisi di tutti i temi irrisolti e le questioni aperte della politica italiana è forse un’operazione un po’ lunga, ma piuttosto semplice. Le questioni sono tutte là, all’ordine del giorno dei dibattiti televisivi o delle denunce dei partiti d’opposizione o di semplici cittadini.
E spesso questi temi sono lì da anni e in molti casi non hanno ancora trovato una soluzione soddisfacente.
Farò un esempio per tutti: la parità, o meglio, la disparità di genere.
“È tempo di donne”ho detto e scritto recentemente. Già, sarebbe tempo di donne, ormai; sarebbe il tempo in cui le donne, fuori da ogni logica di quota, crescessero in importanza nella società. Sarebbe ormai tempo che tutti i soffitti di cristallo o vetro vengano sfondati; che l’uguaglianza e la parità tra i generi, sancita dalla Costituzione, non fosse, nei fatti, disattesa dalla Nazione; sarebbe tempo ormai che questo 46% di occupazione femminile – che ci rende simili solo al Messico e alla Turchia, secondo le stime dell’OCSE – si adeguasse a quel 60% che è la media europea e l’obbiettivo posto dalla strategia di Lisbona.
Raramente tema è stato più dibattuto a livello nazionale e internazionale, sul piano teorico e su quello politico; eppure questa, che è una questione che risponde ad un elementare principio di giustizia – peraltro sancito dall’art.3 e dall’art. 37 della nostra Costituzione, che, tra l’altro, riconosce il valore sociale della maternità – non riesce a trovare soluzione.
È così difficile – chiedo – che un partito laico, progressista, socialista, si faccia carico con una parola d’ordine chiara, inequivocabile, esplicita della soluzione del problema? E non per un fatto di benevola condiscendenza, ma per rimettere in moto una società vecchia, come quella italiana, che va appunto a due velocità, quella degli uomini e quella delle donne. Da anni l'Italia cresce poco o nulla. Cresce poco dal punto di vista economico e cresce ancora meno dal punto di vista demografico (soprattutto se escludiamo l'immigrazione). I due fenomeni sono già adesso collegati. Ma lo saranno ancora di più in futuro: una società "vecchia" non ha i muscoli per correre, non ha il fiato per tenere il passo con società più giovani e dinamiche. Per rilanciare la crescita dell'Italia si possono e si devono fare molte cose: liberalizzazioni, mercati più efficienti, un fisco più leggero per imprese e lavoratori, più incentivi per ricerca e innovazione, più sostegno per i figli e così via. Ma "far largo alle donne", dare più spazio alle loro aspirazioni, ai loro talenti, ai loro bisogni farà ripartire l’Italia e la farà tornare a crescere e a crescere bene. E questo non lo dice Maria Squarcione, ma lo dimostra l’esperienza di società avanzate, come quella nipponica e statunitense, che promuovendo un’agenda di cambiamenti strutturali che rilanciano l’occupazione femminile, la cosiddetta “womenomics”, ha prodotto una serie di risultati economici estremamente soddisfacenti: l’emersione di nuovi talenti e quindi un arricchimento esperienziale per tutti; l’aumento dei consumi “rosa”, cioè la conquista di nuove fette di mercato; la creazione di un volano per lo sviluppo dell’artigianato terziario (cioè tutti quei servizi alla persona che, in Francia, hanno trovato la loro cornice politica in un “Piano dei servizi alla persona” che ha condotto quella nazione, in pochi anni, ad essere la prima in Europa per natalità). Anche noi abbiamo un piano sociale nazionale, ma mentre nel resto d’Europa, più le donne lavorano, più si sentono soddisfatte e più le famiglie sono stabili, più cresce la natalità, in Italia, più le donne lavorano, meno fanno figli, meno possono fare figli.
Allora, “occuparsi di futuro”, visto che dichiariamo di volercene occupare, COINCIDE CON UNA CAPACITA’ PROGETTUALE ADULTA E CONSAPEVOLE e con l’idea che questo partito è innanzitutto il PARTITO DELLA SOCIETA’ TUTTA INTERA, di un’idea di SOCIETA’ UNITA – e non divisa dall’appartenenza al genere o a una regione del Nord o del Sud – RAZIONALE, dove il merito sia misurabile, sia un criterio di concretezza e di metodo e non un vuoto clichè che si ripete per propaganda; EFFICIENTE, dove siano banditi gli sprechi della Pubblica Amministrazione, come l’iniquità di un sistema giudiziario da riformare.
Anche se abbiamo deciso di occuparci di futuro, spesso questo partito parla al PD, al passato o a se stesso. Ora, parlare al PD, valutando le risposte che il suo segretario a questo congresso NON ha dato, forse non serve ancora a molto; parlare al passato è utile nei termini dell’attivazione di un sistema identitario di rispecchiamento; parlare a noi stessi, sarebbe utile qualora da questo congresso esca non solo una dichiarazione d’intenti – “occupiamoci di futuro” – ma un chiaro impegno fattivo che finalmente prefiguri un’idea di NAZIONE LAICA, UNITA, un’idea di SOCIALISMO RAZIONALE. È questo che ci aiuterà a conquistare consenso e voti. Perché sono convinta che in questo momento i socialisti vogliano esserci, contare, vincere, attuare insomma la propria UTOPIA.
Certo. È una sfida. Personalmente mi auguro di vincerla con voi. 

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