Non siamo le solite di sempre

di Pia Locatelli - presidente Internazionale Socialista Donne

Previste 200-300 partecipanti, iscritte oltre 1.000, presenti oltre 2.000, donne e alcuni uomini, decine di migliaia di contatti attraverso blog, facebook, twitter ... : questi i numeri dell’incontro di Siena del 9 e 10 luglio, la prova che ‘Se non ora quando’ ha colto nel segno dando speranza alle tante donne, e anche uomini, che si sentivano impotenti nel contrastare il degrado dell’immagine femminile e il ruolo negato alle donne nella vita del Paese.
La manifestazione del 13 febbraio e la due giorni di Siena indicano che si può uscire dall’impotenza e mettere in movimento le energie disponibili per cambiare un Paese bloccato, represso, senza desideri.
Siamo partite dalle tre proposte avanzate l’otto marzo, accompagnate dallo slogan “rimettiamo al mondo l’Italia”:
- indennità di maternità universale a carico della fiscalità generale, perché tutte le donne che lavorano devono poter scegliere se essere madri, anche le precarie, che ora non possono scegliere;
- riproposizione della legge che impediva la pratica delle dimissioni in bianco, strumento odioso imposto all’atto dell’assunzione per aggirare il divieto di ... libertà di licenziamento, usato soprattutto contro le donne a rischio di maternità, legge già esistente la cui cancellazione è stato il primo atto dell’attuale governo;
- congedo di paternità obbligatorio: I figli e le figlie si fanno in due ma troppo spesso quando vanno allevati e accuditi risultano essere figli/e delle sole madri. Se per le donne il congedo di maternità è obbligatorio, la facoltatività di quello per i padri ha trasformato in una sorta di handicap quello che continuiamo a considerare un segno di civiltà. Congedo per i padri obbligatorio, retribuito al 100% e a carico della fiscalità generale. Si rimette al mondo l’Italia anche condividendo gioie e fatiche di famiglia e lavoro.
Rappresentazione dei corpi e lavoro delle donne sono le due facce dello scandalo italiano, dicono le donne di ‘Se non ora quando’: questo è stato il punto di partenza su cui abbiamo costruito l’incontro di Siena proponendo come contenuto il nesso tra le brutte immagini di donne che attraversano gli schermi e riempiono le riviste e il mancato posto fatto alle donne nella vita pubblica, a partire dal lavoro.
Si comincia il 9 luglio poco prima di mezzogiorno con le proiezioni video del 13 febbraio; seguono alcuni interventi introduttivi: Francesca Izzo, una filosofa insolitamente (per una filosofa, non per lei) concreta, che parla di superamento di barriere, anche quelle dei diversi femminismi; Linda Laura Sabbadini, direttrice centrale dell’Istat che fotografa l’Italia al femminile, e non è una bella fotografia; l’economista Tindara Abbado; Sabina Castelfranco, rappresentante della stampa estera che racconta perché la manifestazione di febbraio ha conquistato le prime pagine dei giornali stranieri e come viene letta oltre frontiera la questione femminile nel nostro Paese.
Poi gli interventi, ricchi, vivaci, creativi, interessanti, liberi, sciolti e, miracolo, ordinati, anche nei tempi. Una sessantina nel pomeriggio della prima giornata, un susseguirsi di voci per un percorso a volte corale a volte individuale; tre minuti a testa per tutti e tutte, comitati, associazioni, singole donne, archeologhe o artiste; anche qualche politica cui è stata rivolta una leggera contestazione, segnale di una certa insofferenza verso quel mondo più che verso di loro.
Quattro ore di interventi in una piazza piena di donne, giovani e meno giovani, qualche uomo, in tante ad inseguire l’ombra degli alberi e di vecchi palazzi, piccoli stand e qualche impianto tecnologico che ci ha proiettate fuori dal Prato di Sant’Agostino, fuori da Siena, anche fuori dall’Italia attraverso le reti dei social network.
A conclusione un flash mob in Piazza del Campo dove siamo state guidate da una street band; a sera di nuovo a Prato di Sant’Agostino, per una gioiosa festa con la regia di Lunetta Savino.
Il giorno successivo è stato il momento per gli impegni, i contenuti e la proposta politico - organizzativa per far pesare la forza che abbiamo costruito, pur nelle differenze che devono essere riconosciute. Alcune sono differenze antiche, altre nuovissime non solo perché ci sono le giovani, finalmente, ma anche perché ci sono aggregazioni recentissime. Non siamo le solite di sempre. Qualcuno dice che il 13 febbraio abbiamo convocato il Paese e il Paese ha risposto. La composizione della piazza di Siena ne è la conferma.
Il progetto è di una rete inclusiva, accogliente, capace di superare le barriere identitarie, una rete ugualitaria - il Comitato nazionale ha esclusivo ruolo funzionale - costruita a partire dalle diverse realtà locali, una rete agile e insieme stabile e organizzata, alla cui base stia la dimensione di giustizia. Nessuna vuole diventare partito, ma è concreta la domanda di politica e di interlocuzione con partiti e istituzioni. C’è una nuova forza sulla scena politica nazionale, nata da un patto leale tra le mille realtà femminili che si incontrano e si riconoscono.



Avanti! della domenica N.28 del 17 luglio 2011

I COSTI DELLA (IN)GIUSTIZIA AUMENTANO “un regalo della manovra finanziaria”

ai tempi biblici dei procedimenti civili, ai costi per le parcelle degli avvocati, lo Stato, anziché intervenire con provvedimenti “a favore di”, ha pensato bene di introdurre nella manovra finanziaria un “contributo unificato” anche per le ormai poche cause il cui oggetto non comportava costi. Che la giustizia non funzioni, che il servizio sia scadente, che la giustizia debba essere garantita al cittadino e non tassata, poco importa ad uno Stato vorace, ad una parte del Parlamento ed ad un Governo che si è caratterizzato per “leggi ad personam” ed ora per “leggi  onerosamente contra personem”
Come non definire in questo modo l’introduzione di un contributo unificato per le cause civili e fra queste quelle di lavoro e di famiglia, proprio a carico delle persone più deboli?
Dal “girone infernale dei nuovi contributi unificati”, ne citiamo solo alcuni:
  • Procedimenti ordinari: da 37,00 a 1466,00 euro
  • Procedimenti esecutivi mobiliari: da 37,00 a 121,00 euro
  • Procedimenti di opposizione agli atti esecutivi: 146,00 euro
  • Procedimenti di esecuzione immobiliari: 242,00 euro
  • Procedimenti sommari: da 18,50 a 733,00 euro
  • Procedura fallimentare: 740,00 euro
  • Procedimenti in materia di previdenza: 37,00 euro
  • Separazioni e divorzi consensuali: 37,00 euro
  • Separazioni e divorzi giudiziali: 85,00 euro
Mentre SOS Diritti PSI, si schiera a favore dell’Ordine degli Avvocati che già ha protestato per l’iniquità di tali provvedimenti (che avranno valore dal 6 luglio us), rivolge un appello ai Parlamentari di ogni schieramento “rendere giustizia ai deboli”, pronunciandosi contro l’introduzione del contributo unificato, emendando il DL 98/2011 e stralciando le relative previsioni normative.

 Mario Guidetti   (SOS Diritti PSI)    Rosario Genovese  (V.segretario prov.le PSI)  Rita Moriconi  (Consigliere Regionale)   

Comunicato Stampa Biotestamento

“La legge approvata alla Camera dei deputati sul biotestamento, è inaccettabile” - ha dichiarato il Consigliere Regionale PSI Rita Moriconi – “con questa impostazione la libertà di autodeterminazione della persona, permettendo ad un terzo, Giudice o Medico che sia, di decidere quando e come privare di acqua e cibo un essere umano indifeso ed in fine di vita è negata. Non è accettabile la cultura da aguzzini della morte che una parte politica con questa legge vuole fare diventare pratica quotidiana nel nostro Paese. Una legislazione assurda, prima che inaccettabile, per il rispetto dei diritti fondamentali dell'individuo in una democrazia liberale. Dopo l’approvazione di questa legge ci si deve attivare per promuovere immediatamente un referendum abrogativo”

Bologna 13 luglio 2011

IL Consigliere Rita Moriconi presenta in Consiglio una risoluzione per il sostegno delle Cure Palliative Pediatriche

Voglio innanzitutto porgere il mio personale ringraziamento alla collega Paola Marani che, con la risoluzione n° 1002 del 2 Febbraio u.s., ha per prima sollevato le delicate ed urgenti problematiche legate alla somministrazione delle Cure Palliative, ponendo una questione che, a mio avviso, prima ancora che il campo medico investe intimamente la sfera etica di ognuno di noi ed anche quella più profonda, legata alla sofferenza, che, se risulta già straziante nel caso degli adulti, lo diventa in misura ancora più cocente quando parliamo di bambini.
Purtroppo, quando si pensa alle malattie inguaribili, il più delle volte non si considera mai che questi tristi accadimenti possano riguardare i bambini ed i minori in genere e si tende a non riflettere - quasi per una sorta di difesa psocologica – sul fatto che anche queste fasce di età possono essere vittima di patologie che non lasciano via di scampo ed allora, ad una prima considerazione, si potrebbe pensare che tutto quello che vale per gli adulti - sul piano clinico, psicologico , relazionale e spirituale - possa essere in qualche modo applicato anche ai minori.
Le cure palliative che riguardano i minori comportano invece una modalità di attuazione ben diversa: devono essere infatti regolate a seconda delle situazioni biologiche, relazionali, sociali e cliniche di un paziente che, nonostante tutto, continua a crescere ed a variare il piano delle sue esigenze psicologiche, il che comporta, evidentemente, la necessità di cambiare continuamente sia le azioni cliniche da intraprendere come anche il livello organizzativo e programmatorio delle strutture sanitarie.
Tutti gli studi medici e la letteratura internazionale in materia confermano che il numero dei minori cui vanno somministrate cure palliative è in costante aumento, non perché siano aumentati in quantità i minori affetti da patologie gravi, ma perché il progresso medico e tecnologico consente oggi la sopravvivenza di neonati, bambini ed adolescenti portatori di malattie che un tempo risultavano rapidamente letali; e tutto ciò comporta un aumento complessivo dei bisogni e la necessità di attivare risposte adeguate da parte delle Istituzioni come delle strutture sanitarie.
L’OMS definisce le cure palliative come “l’attiva presa in carico globale di corpo, mente e spirito del bambino e comprende il supporto attivo alla famiglia
E sul tema della famiglia occorre soffermarsi un attimo. E’ certo atroce vedere soffrire un adulto, ma credo che cercare di attenuare le sofferenze di un bambino sia qualcosa che vada al di là del bene: è un istinto primordiale, è l’ultima forma di amore che un genitore può fare per suo figlio. Supportare la famiglia in questa fase del decorso clinico – sul piano psicologico, logistico ed informatico - diventa perciò fondamentale, affinchè anche ciò che sta intorno al minore possa essergli di aiuto psicologico e migliorare la qualità dei suoi livelli di vita.
Ho sentito recentemente dire da un medico che, anche quando siamo di fronte ad una patologia che non lascia via di uscita, “non tutto del bambino malato è malato”, e dunque occorrerà che che le cure di cui ha bisogno siano il più possibile compatibili con il contesto di vita cui era abituato prima della malattia: sia esso la sua famiglia, la scuola ed il gioco.
Tutti quelli di cui vi ho parlato sono punti essenziali da cui partire per affrontare un ragionamento serio e concreto su di un argomento così delicato e, lasciatemelo dire, anche straziante e sono premessa essenziale per la risoluzione che oggi presento, che si pone l’ obiettivo:
  • di monitorare l’attività del Gruppo di Lavoro “La Rete di cure palliative pediatriche” - che ha l’obiettivo di contribuire a definire un programma regionale inerente “La rete di cure palliative pediatriche”, nell’ambito degli obiettivi fissati con la Determinazione della Giunta Regionale n. 5410 dell’ 11 Maggio 2011- affinché la riflessione sull’ eventuale necessità di creare un centro di riferimento regionale per le Cure Palliative Pediatriche, non sia solo una risposta alla crescente domanda di posti letto, ma bensì vada verso la creazione di un centro di rifemento qualificato dove si elaborino e si estendano ad altre strutture regionali le buone pratiche di Cure Palliative Pediatriche;
  • di attivarsi affinché il percorso avviato dal suddetto Gruppo di Lavoro, oltre agli obiettivi già indicati, ponga particolare attenzione alle seguenti azioni:
  1. Predisporre percorsi comuni di formazione delle equipes territoriali e di reparto con periodici e regolari incontri di confronto e condivisione dei casi;
  2. Organizzare l’assistenza domiciliare gestita da personale territoriale (AUSL) in modo tale da consentire alle famiglie di avere incontri conoscitivi prima dell’attivazione del servizio;
  3. Coinvolgere le Associazioni di volontariato che operano sul territorio e presso i reparti in percorsi di formazione atti ad un’ adeguata selezione degli stessi volontari;
  4. Reperire risorse per prevedere la figura dello psicologo a domicilio che, in continuità con il lavoro svolto dai colleghi ospedalieri, possa seguire la famiglia ed il minore nell’ambito dell’ambiente domestico e familiare;
  5. Stanziare risorse per l’attivazione di un protocollo di formazione e sensibilizzazione dei Pediatri che porti verso una scelta positiva rispetto al tema delle Cure Palliative Pediatriche, dell’assistenza domiciliare e degli interventi palliativi nelle strutture ospedaliere;
  6. Definire un protocollo preciso e puntuale che indichi le caratteristiche minime che devono possedere le strutture dove i minori affetti da malattie oncologiche sono presi in carico, affinché si pongano in essere attività che forniscano una qualche forma di continuità con le attività che gli stessi svolgono o svolgevano al di fuori della struttura, come ad esempio la scuola in reparto in connessione con le scuole territoriali di appartenza dei pazienti o l’organizzazione di attività ludico-ricreative come il progetto “Giocoamico” attivato nel reparto di Oncoematologia Pediatrica presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Parma, anche in convezione con Associazioni Onlus operanti nei diversi territori;
  7. Reperire risorse ed attivazione di progetti per protocolli di indirizzo, anche in collaborazione con privati o riqualificando il patrimonio edilizio di competenza delle AUSL o delle locali PA, per un adeguato supporto logistico abitativo al fine di assistere le famiglie dei minori che approdano alle strutture specializzate da territori lontani dai centri.
E' evidente che la terapia palliativa, nell’ambito della pediatria, risulta più difficile e complessa rispetto a quella per gli adulti, e presenta risvolti molteplici e diversi su vari piani.
A detta di chi lavora in questo campo – ma credo sia evidente a tutti - è tutt’altro che semplice assistere e supportare in modo adeguato la fase di una malattia cronica che sta evolvendo verso una progressione inarrestabile, che però può anche avere fasi di recupero o di stabilizzaione più o meno prolungate, come conseguenza di atti medici; e tutto questo risulta ancora più difficile e penoso nel caso di un bambino, che si deve aiutare nel modo meno doloroso possibile (insieme anche alla sua famiglia non dimentichiamolo mai…) ad affrontare secondo i suoi bisogni gli ultimi giorni della sua vita.
Tutto ciò richiede di poter disporre di nozioni scientifiche molto sofisticate, di attuare scelte mediche talora complesse e di poter applicare conoscenze assistenziali molto specifiche e di livello elevato, ed in ambienti tecnologicamente avanzati per non aggiungere difficoltà tecniche a difficoltà cliniche.
Tutto questo richiede dunque la nostra attenzione più alta, non soltanto in qualità di rappresentanti all’interno di un’Istituzione, ma soprattutto come persone che sanno cosa vuol dire amare i bambini.

La risoluzione è stata condivisa e  firmata anche dai Consiglieri PD Marco Monari, Luciano Vecchi, Marco Carini, Marco Barbieri, Gabriele Ferrari, Antonio Mumolo, Roberto Montanari, Paola Marani, Roberto Piva, Anna Pariani, Thomas Casadei, Palma Costi, Roberta Mori, Stefano Bonaccini.

Le Donne Socialiste a sostegno delle Donne.


di Rita Cinti Luciani - responsabile nazionale pari opportunità PSI

Il 9  e 10 luglio a Siena , le donne di ogni parte d’Italia hanno dato vita a due giornate di dibattiti per proseguire un lavoro cominciato il 13 febbraio in tante città italiane all’insegna di “Se non ora Quando”?  Due giornate tese a far sentire maggiormente la voce delle donne in una società che poco ha investito sulle competenze femminili, anzi negli ultimi anni ha fortemente distorto l’immagine delle donne e il loro ruolo. In un momento di grande difficoltà dal punto di vista economico e sociale i dati Istat confermano che l’immagine femminile data dai media e certa pubblicità sono l’espressione della forte resistenza che è ancora presente nel nostro Paese nel lasciare spazio alla libertà femminile e alla piena partecipazione nella vita politica, economica e sociale. Le donne fin dalla primissima età, studiano, danno prova di maturità e serietà ma faticano ad entrare nel mercato del lavoro, per esempio,  perché donne e madri.
Un Paese che invoca il concetto di merito a parole e non a fatti, che non investe in modo paritetico nelle donne, è quindi un Paese senza futuro e i dati in Italia dimostrano proprio che è ancora troppo faticoso trovare uno spazio polico-sociale, ma qualcosa nel 2011 è cambiato e il tema sembra essere tornato finalmente centrale. Oggi, in piena crisi occorre più che mai un impegno trasversale di tutte la donne per creare una rete e far sentire maggiormente non solo la voce ma anche le proposte delle donne e degli uomini che credono nella necessità di una inversione di rotta nella società e che i tagli seppure necessari dato il momento, non debbano però essere apportati in modo indiscriminato al welfare e al sistema dei servizi, cose che colpiscono maggiormente le famiglie e in particolare le donne. La politica ha bisogno di segnali nuovi, all’insegna della partecipazione, della serietà e rigore, ma soprattutto dell’esempio, del buon esempio. Noi socialiste e socialisti pensiamo che le donne possano davvero dare un grande contributo a questo cambiamento, per questa ragione lavoreremo a fianco di chi si sta impegnando in questa direzione.     

Licenziamenti per sole donne

La vicenda della fabbrica Ma-Vib 

di Pia Locatelli - presidente internazionale socialista donne

Ero bambina, quindi alcune decine di anni fa, e ricordo l’aria cupa che si è respirata per un certo periodo nel mio paese, a qualche chilometro dalla città di Bergamo, per i licenziamenti in atto nell’azienda tessile che dava lavoro a gran parte degli abitanti della zona. 
Tutte le famiglie avevano almeno una persona che lavorava al Linificio e quindi i licenziamenti  colpivano la maggioranza delle famiglie. Le cattive notizie arrivavano in successione perché i licenziamenti erano scaglionati. Non ricordo, forse non ho mai saputo, il motivo dello scaglionamento, ricordo con vivida chiarezza l’aria di attesa della “disgrazia” ed il respiro di sollievo quando si scampava al licenziamento dello scaglione. Le prime a “saltare” furono le donne più giovani, poi le altre donne; il dramma fu percepito gravissimo solo quando fu il turno dei padri di famiglia, che arrivò per ultimo.
Questo succedeva cinquant’anni fa. Ora il mondo è cambiato, ma forse solo superficialmente, in profondità le convinzioni e i modelli culturali sono gli stessi, la divisione sessuale del lavoro è ancora presente: agli uomini la produzione, alle donne la riproduzione.
Cinquant’anni fa nel Nord Italia - al Sud era tutta un’altra storia - le donne che “non studiavano” entravano nel mercato del lavoro dopo l’obbligo scolastico e ne uscivano nella quasi totalità con il matrimonio, non al primo figlio. Era un modello culturale: ti sposi e ti dedichi alla casa e alla famiglia, quella che verrà. Quelle che non si sposavano continuavano a lavorare fuori casa fino alla pensione perché non avevano un uomo che le “mantenesse”.
Il mondo nei decenni è cambiato: l’obbligo scolastico a quattordici anni, che ha beneficiato soprattutto le ragazze, gli elettrodomestici, la televisione, la pillola contraccettiva, qualche donna in più in parlamento, la prima ministra, Tina Anselmi al Lavoro, la legge sul divorzio, il nuovo diritto di famiglia, la legge sull’aborto, una maggiore consapevolezza di sé, le donne che si sposano e in numero sempre minore lasciano il lavoro. Grandi progressi che si riteneva conseguiti per sempre, la vita nelle nostre mani, credevamo.
La vicenda della fabbrica di Inzago smentisce questa certezza e ci fa percorrere all’indietro questo processo, perché i licenziamenti delle sole donne confermano che il modello sociale di cinquant’anni fa permane, è ancora cultura diffusa e quando la crisi si fa sentire, le donne sono le prime a pagare perché il loro è lavoro “aggiuntivo”, secondo salario per aiutare il bilancio familiare, un di più che in tanti pensano di scoraggiare attraverso la proposta del quoziente familiare, il più efficace disincentivo al lavoro femminile. E’ innegabile che la crisi continui a far sentire i suoi effetti, con ricadute pesanti sulla occupazione, e che a volte la riduzione del personale sia necessaria. Ma l’emergenza lavorativa, che sarebbe sbagliato negare, non c’entra con il licenziamento delle sole donne ad Inzago.
Quella dei titolari della Ma-Vib, nonno, figlio, nipote, è una decisione più ideologica che aziendale: dovendo ridurre il personale si fa una scelta chiara a favore appunto della divisione sessuale del lavoro: quello produttivo agli uomini e quello riproduttivo alle donne. Non c’entrano le linee produttive da sopprimere o le competenze necessarie all’azienda, l’ideologia prima di tutto e il modello sociale tradizionale a fare ancora da bussola nelle scelte aziendali.
D’altro canto perché dovremmo meravigliarci se, a parità di competenze, il divario salariale medio tra uomini e donne è attorno al 17%, se il gap tra occupazione maschile e femminile è pari al 20%, se a fronte di una richiesta della UE di asili nido che soddisfi almeno il 30% della fascia d’età 0-3 anni non offriamo nemmeno la metà di quanto previsto, se le misure di conciliazione tra vita familiare e vita professionale sono pressoché inesistenti e comunque pensate come se riguardassero esclusivamente le donne?
Il nonno, il figlio, il nipote di Inzago, la “proprietà” - ma non ci sono donne in quella famiglia? - sono accusati dal sindacato di avere motivato la loro scelta con il fatto che le donne possono, o devono, stare a casa e curare i figli. Successivamente  i titolari hanno negato di aver mai pronunciato la frase incriminata.
Mi sembra irrilevante l’aspetto formale della prova della discriminazione, i tre hanno fatto quello che in tanti pensano, a partire dagli stessi lavoratori dell’azienda che temo abbiano considerato il licenziamento delle sole donne il male minore visto che in pochi hanno partecipato alla manifestazione di protesta.
Non credo che questa sia una lotta degli uomini contro le donne, e non credo che gli uomini, che conservano il posto di lavoro mentre le donne lo perdono, possano essere considerati vincitori. Ci perdono tutti, ci perdiamo tutti, perché siamo tornati a cinquant’anni fa e non casualmente la nostra posizione di fanalino di coda in Europa nelle statistiche del lavoro femminile e nel tasso di crescita ancora una volta si conferma.
Cos’è cambiato rispetto a cinquant’anni fa in Lombardia, la regione apparentemente più ricca ed avanzata d’Italia? Poco, tristemente poco.


Avanti! della domenica N.27 del 10 luglio 2011

“ LE DONNE ARABE E LA STRADA PER LA DEMOCRAZIA”




Si è conclusa il 29 giugno, la Conferenza dell’Internazionale Socialista Donne ad Atene, che ha visto un’ampia partecipazione delle rappresentanti di tutto il mondo per affrontare un tema di grandissima attualità dopo “la primavera del medio-oriente”. 
Due giornate di lavoro con il messaggio di saluto iniziale di George Papandreou impegnato in questo momento ad affrontare la grande crisi della Grecia e i momenti di forte tensione che si sono svolti nella capitale. A lui e al popolo greco è stata espressa tutta la solidarietà delle donne socialiste.
Dopo l’apertura dei lavori da parte della Presidente Pia Locatelli,  si sono succedute molte relatrici che oltre a portare la loro esperienza, hanno approfondito ed analizzato il tema dei Paesi arabi e il difficile percorso verso la democrazia, le differenti situazioni ed esigenze, in particolare il ruolo delle donne sia nel  processo iniziato che in quello futuro. 
Le donne hanno svolto un ruolo centrale nella primavera araba, ora il tema fondamentale è come cambiare modello in quei Paesi, creando le condizioni per un processo di modernizzazione condiviso e partecipato, insieme alla necessità  di proporre un nuovo contratto sociale. In molte hanno sottolineato la difficoltà di gestire una transizione che non sempre vede le donne coinvolte per contribuire alla realizzazione di Carte Costituzionali a garanzia di una vera democratizzazione di questi Paesi. Certamente le proteste e i fenomeni di diffusione delle informazioni non sono circoscritti ai soli giovani ma trasversali a tutti gli strati sociali e religiosi,con le donne sicuramente in percentuali molto elevate, perché convinte della necessità di una partecipazione alla vita politica, sociale ed economica dei loro Paesi. 
Ciò che è accaduto in sé è importante, ma in tante hanno ribadito che questo non significa  parità di opportunità per le donne, molte delle quali nei mesi scorsi sono state imprigionate, picchiate, torturate e violentate proprio per il loro impegno. 
Dopo un ampio dibattito è stata approvata una risoluzione proposta dall’esecutivo socialista che prevede numerosi punti tra questi l’impegno della Comunità internazionale in azioni concrete tese a sostenere la protezione dei diritti umani e a trasformare la cultura della violenza in cultura per la pace e la convivenza. L’appello quindi a sostenere la lotta delle donne arabe, ad impegnarsi per promuovere l’empowerment delle donne in tutte le sfere della vita e a costruire “ponti” con le organizzazioni femminili all’interno del mondo arabo per la realizzazione di un processo di democratizzazione e pace senza discriminazioni. 
Due giornate di grande interesse che hanno visto le donne socialiste impegnarsi per contribuire, come sempre hanno fatto nella storia al cambiamento della società.

Rita Cinti Luciani
responsabile nazionale pari opportunità PSI