25 Novembre, sia emancipazione per le donne

Il problema della violenza contro le donne , è stato negli ultimi anni oggetto di numerose iniziative, dibattiti e tentativi di accrescere la sensibilizzazione attorno a questo fenomeno, purtroppo dalle cronache quotidiane in aumento.


Il 25 novembre è la giornata simbolo in ricordo dell’assassinio delle sorelle Mirabal, contro la violenza sulle donne e in moltissime parti del Paese si terranno convegni di approfondimento dei dati sulla violenza di genere nelle relazioni affettive personali e sulla percezione di sicurezza e insicurezza delle donne. Questa data, oltre a ricordare l’evento particolarmente efferato, deve rappresentare la volontà di proseguire con azioni più incisive il contrasto verso i contesti in cui le violenze fisiche, psicologiche, morali ed economiche colpiscono, quotidianamente, l’universo femminile.

I dati ed anche le cronache quotidiane fanno emergere un quadro nazionale sconfortante, ancora largamente sommerso, perché oltre a denunciare raramente, le donne sovente si vergognano a parlare della violenza subita anche con persone amiche. I numeri evidenziano chiaramente come la prima causa di morte e di invalidità per le donne fra i 16 e 44 anni sia la violenza subita dentro e fuori le mura domestiche.

Naturalmente le indagini confermano elementi già noti sul tema e più volte documentati: gli autori delle violenze sono spesso persone conosciute o familiari, raramente sconosciuti. Spesso la violenza fisica e psicologica è esercitata da partner o ex, la violenza sessuale invece spesso da conoscenti o amici. Viene calpestata la dignità più intima e talvolta l’asssenza di leggi adeguate e la paura sono complici di tali violazioni.

Le vittime sono donne di tutti gli strati sociali e non solo donne svantaggiate economicamente o culturalmente come si potrebbe pensare, anzi i dati Istat mostrano che le vittime in molti casi appartengono a fasce sociali benestanti. Certamente insieme a queste esistono ancora tante giovani donne straniere sfruttate e picchiate che ogni giorno si prostituiscono perché minacciate e perchè non sanno dove poter andare.

Nel nostro Paese, circa una donna su tre ha subito una violenza fisica, sessuale o entrambe, la maggior parte di queste violenze sono velate dal silenzio delle vittime perché spesso gli autori sono familiari e quando ci sono dei figli si preferisce il silenzio. Certamente la rete dei servizi e i centri antiviolenza nati in numerose città hanno dato buoni risultati, ma oggi il pericolo è che per mancanza di fondi vengano chiusi o ridimensionati.

Diventa perciò indispensabile che il tema venga affrontato per la gravità che riveste secondo obiettivi e facendo ricorso a una molteplicità di strumenti:

programmi di educazione dei sentimenti e formazione sui diritti e doveri di maschi e femmine, azioni positive per l’uguaglianza di genere, l’introduzione di modelli positivi fin dalla scuola materna.

Il proseguimento e il potenziamento delle buone pratiche realizzate in molte realtà che dovrebbero essere portate a sistema nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale per alleviare e prevenire comportamenti violenti.

Il mantenimento di risorse per i Centri antiviolenza e i programmi di tutela e reinserimento nella società e nel mondo del lavoro delle donne maltrattate, sostegno agli Enti locali e alle numerose associazioni di volontariato che intervengono quotidianamente.

La violenza non può essere vista come una sorta di destino a cui rassegnarsi, lavoriamo insieme perché il 25 novembre non sia solo una giornata di denuncia ma di proposte, un percorso di civiltà che consideri l’emancipazione femminile un bene collettivo che tutti siamo chiamati a difendere.


Rita Cinti Luciani
responsabile nazionale pari opportunità PSI



STOP! alla violenza sulle donne


Rinnovare il patto con gli italiani

di Rita Cinti Luciani responsabile nazionale pari opportunità PSI


Sabato 15 Roma è stata teatro di inaudite violenze da parte di gruppi che evidentemente nulla avevano in comune con quei cittadini che volevano pacificamente manifestare contro l’ingiustizia sociale e l’iniquità con le quali si sta affrontando la crisi nel nostro Paese.
Solidarietà a chi ha subito danni e speranza che i responsabili abbiano il giusto trattamento. Tutto ciò non fa che acuire un clima che non aiuta a dare le giuste risposte alle tante famiglie che in questi mesi hanno perso il lavoro, ai tanti giovani che non intravedono un percorso per il loro futuro, ad un’Italia che da troppo tempo attende risposte.
“Se una libera società non può aiutare i molti che sono poveri, non dovrebbe salvare i pochi che sono ricchi” sono le parole con le quali J.F.Kennedy si rivolgeva agli americani negli anni ’60. Parole di grande attualità, che dovrebbero essere suggerite al Presidente del Consiglio Berlusconi che invece ha come punto di riferimento politico Putin.
Ciò che è accaduto in Parlamento rispetto alla manovra finanziaria è l’ennesima conferma che questo Governo non ha alcuna strategia economica e politica: ciò che tiene unita la maggioranza, quando è presente, è la necessità di mantenere il potere.
Stiamo vivendo una crisi senza precedenti, l’Italia è ormai un Paese estenuato da una transizione politica che dura da un ventennio e ciò che appare più grave è che stanno aumentando i segni di frammentazione e nuove povertà. Confindustria chiede inascoltata politiche nuove per ridare slancio all’economia e al lavoro, abbiamo perso credibilità sui mercati internazionali e nei confronti degli altri Paesi europei, molte famiglie non arrivano più a fine mese e altre rischiano di perdere il lavoro, il potere d’acquisto del cittadino medio è sempre più in calo con conseguenze preoccupanti, la coesione sociale è in pericolo. Grande assente: la Politica del “BuonSenso”, della serietà e del rigore, del merito e dell’innovazione, quella politica in grado di ridare fiducia ai milioni di cittadini che l’hanno perduta e non esercitano più il diritto di voto.
Anche in questa finanziaria invece, dopo lunghe sceneggiate da far invidia a Totò e Peppino, il Governo ha approvato una manovra che nella sostanza ha cancellato il contributo di solidarietà per i ricchi, nessuna modifica sostanziale per lo Stato Centrale, sono state toccate in minima parte le speculazioni finanziarie, sparito il fondo per la non autosufficienza, è stata però aumentata l’iva con conseguente penalizzazione per i cittadini e ridotti ulteriormente gli spazi d’ intervento degli enti locali che da anni continuano a coprire i costi dello Stato in materia di pubblica istruzione e sostegno ai disabili, oggetto di altre sostanziali riduzioni in tema di diritti e aiuti. Le politiche del lavoro e di sostegno alla famiglia pressoché inesistenti. Si persevera nel continuare a prendere sempre agli stessi, privilegiando i più ricchi.
Da tempo noi socialisti abbiamo manifestato la necessità di rinnovare un Patto con gli italiani con un programma riformista e riformatore che prevede una riorganizzazione dello Stato e dei suoi apparati, privilegiando un federalismo solidale vero con uno snellimento delle strutture statali che valorizzi i sistemi regionali in modo da determinare assetti istituzionali in grado di ridurre gli sprechi. Questo significa lavorare sulle Unioni e fusioni di Comuni con gestioni uniche dei servizi in grado di mantenere la qualità con contenimento della spesa. Attivazione d’iniziative serie con valorizzazione di partnership pubblico-privato in materia di servizi alla persona in grado di non generare debiti da scaricare sulle future generazioni, ma siano garanzia di tutela per le fasce più deboli. E’ necessario promuovere investimenti per innovare il sistema delle imprese e renderle competitive sul mercato internazionale, alleggerire il sistema burocratico e introdurre politiche del lavoro che favoriscano i giovani e le donne come già avviene in molti paesi europei. Occorre una nuova legge elettorale che ridia ruolo all’elettore e favorisca la presenza delle donne, tenuto conto del fatto che l’Italia sconta politiche e costumi che certo non ne hanno favorito la presenza.
L’Italia ha bisogno di una proposta politica e programmatica chiara, credibile e praticabile. Facciamo in modo che questa generazione, senza rottamatori, ma con le intelligenze, scriva una storia che ridia fiducia ai nostri giovani, facciamo in modo che la politica e gli ideali rappresentino ancora per i nostri figli quell’orizzonte irraggiungibile che però ogni giorno segna un traguardo.

SCUOLA. SQUARCIONE: CRITICITA' AD UN PUNTO DI NON RITORNO

“Classi pollaio” e tagli alla scuola statale sono gli obbiettivi polemici di questo nuovo autunno caldo degli studenti medi, che stanno ancora manifestando da Roma a Palermo, da Milano a Reggio Calabria, da Brindisi a Gorizia. Il Psi – commenta la responsabile Nazionale Scuola del Partito, Maria Squarcione – combatte una battaglia storica in favore del sostegno alla scuola pubblica, battaglia che oggi, alla luce dell’attuale situazione di profondo disagio che investe tutte le componenti del settore scuola e della conoscenza, si rinnova nell’adesione alla protesta e in concrete proposte di risanamento che riguardano l’intero assetto attuale dell’istruzione primaria, secondaria ed universitaria. Il governo deve capire che non è più eludibile la necessità –  osserva Squarcione – di rendere centrale la questione-formazione nel suo complesso e che non è certo con le “cariche” della polizia che può essere affrontata e risolta. È evidente che la misure fin qui adottate mancano di quel necessario connotato di priorità da attribuire al problema della formazione e dell’istruzione e sono state perciò fattori determinanti  per arrivare all’attuale punto di non-ritorno di una criticità che - conclude l'esponente socialista - non prevede prospettive di innovazione e crescita e tanto meno di adeguamento a standard internazionali che ormai l’Europa ci sollecita in ogni circostanza.

Donne in parlamento, l'Italia come il Marocco


di Pia Locatelli
Presidente Internazionale Socialista Donne

Gli effetti positivi della Primavera Araba pare abbiano sfiorato anche la penisola che riunisce i Paesi più arretrati, dove l’esclusione delle donne dalla vita pubblica, in tutti i suoi aspetti, tocca estremi difficili da riscontrare in altre realtà del mondo.
Yemen, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Kuwait, Arabia Saudita occupano gli ultimi posti nella graduatoria mondiale della presenza delle donne nelle istituzioni e negli indici di sviluppo umano, confermando quanto l’ONU va ripetendo da alcuni anni: senza le donne le società non progrediscono.
Sorprendentemente ora in questa penisola del Medio Oriente, forse grazie al contagio della Primavera Araba, qualcosa si muove: persino in Arabia Saudita, il baluardo del divieto assoluto per le donne di occupare posti istituzionali, perché private del diritto di voto, ci sono timidi segnali di apertura. C’è spazio per qualche speranza? Difficile fare previsioni e soprattutto difficile parlare di libertà e di diritti per tutti, donne e uomini.
Per la verità i primi segnali di apertura risalgono a quasi quarant’anni fa, quando lo Yemen del Sud concesse alle donne il diritto di voto. Purtroppo i decenni scorsi sono stati piuttosto inutili per la causa femminile delle Yemenite. Nello Yemen unificato di oggi solo lo 0,5% dei posti nelle istituzioni, sia locali sia nazionali, vede presenze femminili, ad indicare che non sempre “l’anzianità delle conquiste” va di pari passo con l’avanzamento  delle stesse. Non sempre la contiguità geografica aiuta, infatti ci sono voluti alcuni decenni perché l’esempio dello Yemen venisse seguito dal Qatar nel 1999, dal Bahrein nel 2002, dal Kuwait nel 2005 ... e infine, in questi giorni, dall’Arabia Saudita. Il tabù è caduto, certamente, ma questo non basta per garantire un percorso senza ostacoli verso la parità.
Il dibattito attorno alle concessioni fatte dal Re dell’Arabia Saudita davanti alla  Shura, il Consiglio solo consultivo i cui membri sono scelti dallo stesso sovrano, è stato acceso ed ha visto le donne del mondo divise nel giudizio. Elettorato attivo e passivo nelle prossime elezioni municipali che si terranno tra quattro anni e possibilità per il Re di scegliere nomi femminili per la composizione della Shura nel 2013. Per la verità sono passi avanti così limitati da rendere difficile esprimere un qualche apprezzamento. Credo però che la caduta di un tabù vada sempre considerata positivamente, specialmente se è la conseguenza di azioni di “pioniere”.
Il riferimento è alla campagna lanciata da un gruppo di donne dell’Arabia Saudita, una piccola élite del Paese, per opporsi al divieto di guida voluto dalle autorità religiose. L’appuntamento per la sfida, raccolta da qualche decina di coraggiose, è stato lo scorso 17 giugno. Pare che la giornata abbia lasciato il segno. C’è infatti una relazione tra la campagna contro il divieto e le concessioni reali, essendo la prima l’embrione di una campagna più larga per la richiesta di diritti a favore delle donne.
L’esperienza del mondo ci insegna che il percorso delle donne verso la parità è accidentato, variegato, mai nulla è conquistato con facilità e una volta per sempre. L’Italia del berlusconismo ne è la conferma.
In questi giorni si è svolta a Rabat, Marocco, una riunione regionale dell’Internazionale Socialista Donne per discutere del contributo femminile alla costruzione della democrazia nei Paesi toccati dalla Primavera Araba. Il Marocco ha risposto alle prime manifestazioni di protesta con una riforma costituzionale che prevede la riduzione dei poteri del Re e l’ampliamento di quelli del Parlamento e del Primo Ministro; l’indipendenza del sistema giudiziario e il riconoscimento della lingua berbera come lingua ufficiale insieme all’arabo; la costituzionalizzazione del principio di uguaglianza tra uomini e donne.

Scuola e formazione - dialoghi in corso

di Rita Moriconi

SCUOLA E FORMAZIONE
Dialogo in Corso

Reggio Emilia 6 Ottobre 2011

Quando ho ricevuto l’invito a questo convegno ho subito pensato a quanto sia urgente, in un momento così difficile, sul piano delle risorse, per gli Enti locali di qualsiasi livello, discutere e ripensare dal profondo il rapporto tra scuola e formazione ed, in particolare, rimettere al centro della nostra attenzione l’individuo e riflettere innanzitutto sulle persone e sulle loro vocazioni nel momento in cui si decide di affrontare i discorsi di sistema per disegnare il futuro dei percorsi scolastici delle nuove generazioni.
Mi ha sempre colpito molto una frase di Pablo Picasso il quale, da grande artista qual’era, diceva sempre che l’arte la si fa con le mani; e tutte le volte che vedo qualcuno, che sia una sarta, un artigiano o un cuoco, che dalle sue mani trasforma nudi elementi in oggetti resto sempre stupita: è una piccola magia che accade ogni giorno davanti ai nostri occhi ma cui non prestiamo la dovuta attenzione, quasi che fosse la cosa più normale del mondo salvo poi non sapere più a chi rivolgersi quando cerchiamo qualcuno che ci accorci un paio di pantaloni o che ci possa risuolare un paio di scarpe.
Io resto convinta che abbiamo completamente perso di vista quanto sia utile, importante e vitale per il futuro del nostro Paese far passare il messaggio che la scuola non è soltanto quella che forma la mente, ma è anche quella che forma le professionalità, e che il sostantivo professionalità non si applica soltanto ad un bravo ingegnere o ad un medico qualificato, ma anche ad un ottimo professionista – a patto che sappia fare bene il suo lavoro - come chi sa fare un buon taglio di capelli o a chi sappia posare come si deve un parquet.

HANDICAP E FELICITA' NELLA CITTA' DI TUTTI

Dopo il convegno dello scorso Aprile ("E io? Avro cura di te?") sulla legge 328 e le sue ripercussioni pratiche, sono lieta di invitarti al convegno HANDICAP E FELICITA' NELLA CITTA' DI TUTTI, che si svolgerà a Modena il 26 settembre prossimo


Non siamo le solite di sempre

di Pia Locatelli - presidente Internazionale Socialista Donne

Previste 200-300 partecipanti, iscritte oltre 1.000, presenti oltre 2.000, donne e alcuni uomini, decine di migliaia di contatti attraverso blog, facebook, twitter ... : questi i numeri dell’incontro di Siena del 9 e 10 luglio, la prova che ‘Se non ora quando’ ha colto nel segno dando speranza alle tante donne, e anche uomini, che si sentivano impotenti nel contrastare il degrado dell’immagine femminile e il ruolo negato alle donne nella vita del Paese.
La manifestazione del 13 febbraio e la due giorni di Siena indicano che si può uscire dall’impotenza e mettere in movimento le energie disponibili per cambiare un Paese bloccato, represso, senza desideri.
Siamo partite dalle tre proposte avanzate l’otto marzo, accompagnate dallo slogan “rimettiamo al mondo l’Italia”:
- indennità di maternità universale a carico della fiscalità generale, perché tutte le donne che lavorano devono poter scegliere se essere madri, anche le precarie, che ora non possono scegliere;
- riproposizione della legge che impediva la pratica delle dimissioni in bianco, strumento odioso imposto all’atto dell’assunzione per aggirare il divieto di ... libertà di licenziamento, usato soprattutto contro le donne a rischio di maternità, legge già esistente la cui cancellazione è stato il primo atto dell’attuale governo;
- congedo di paternità obbligatorio: I figli e le figlie si fanno in due ma troppo spesso quando vanno allevati e accuditi risultano essere figli/e delle sole madri. Se per le donne il congedo di maternità è obbligatorio, la facoltatività di quello per i padri ha trasformato in una sorta di handicap quello che continuiamo a considerare un segno di civiltà. Congedo per i padri obbligatorio, retribuito al 100% e a carico della fiscalità generale. Si rimette al mondo l’Italia anche condividendo gioie e fatiche di famiglia e lavoro.
Rappresentazione dei corpi e lavoro delle donne sono le due facce dello scandalo italiano, dicono le donne di ‘Se non ora quando’: questo è stato il punto di partenza su cui abbiamo costruito l’incontro di Siena proponendo come contenuto il nesso tra le brutte immagini di donne che attraversano gli schermi e riempiono le riviste e il mancato posto fatto alle donne nella vita pubblica, a partire dal lavoro.
Si comincia il 9 luglio poco prima di mezzogiorno con le proiezioni video del 13 febbraio; seguono alcuni interventi introduttivi: Francesca Izzo, una filosofa insolitamente (per una filosofa, non per lei) concreta, che parla di superamento di barriere, anche quelle dei diversi femminismi; Linda Laura Sabbadini, direttrice centrale dell’Istat che fotografa l’Italia al femminile, e non è una bella fotografia; l’economista Tindara Abbado; Sabina Castelfranco, rappresentante della stampa estera che racconta perché la manifestazione di febbraio ha conquistato le prime pagine dei giornali stranieri e come viene letta oltre frontiera la questione femminile nel nostro Paese.
Poi gli interventi, ricchi, vivaci, creativi, interessanti, liberi, sciolti e, miracolo, ordinati, anche nei tempi. Una sessantina nel pomeriggio della prima giornata, un susseguirsi di voci per un percorso a volte corale a volte individuale; tre minuti a testa per tutti e tutte, comitati, associazioni, singole donne, archeologhe o artiste; anche qualche politica cui è stata rivolta una leggera contestazione, segnale di una certa insofferenza verso quel mondo più che verso di loro.
Quattro ore di interventi in una piazza piena di donne, giovani e meno giovani, qualche uomo, in tante ad inseguire l’ombra degli alberi e di vecchi palazzi, piccoli stand e qualche impianto tecnologico che ci ha proiettate fuori dal Prato di Sant’Agostino, fuori da Siena, anche fuori dall’Italia attraverso le reti dei social network.
A conclusione un flash mob in Piazza del Campo dove siamo state guidate da una street band; a sera di nuovo a Prato di Sant’Agostino, per una gioiosa festa con la regia di Lunetta Savino.
Il giorno successivo è stato il momento per gli impegni, i contenuti e la proposta politico - organizzativa per far pesare la forza che abbiamo costruito, pur nelle differenze che devono essere riconosciute. Alcune sono differenze antiche, altre nuovissime non solo perché ci sono le giovani, finalmente, ma anche perché ci sono aggregazioni recentissime. Non siamo le solite di sempre. Qualcuno dice che il 13 febbraio abbiamo convocato il Paese e il Paese ha risposto. La composizione della piazza di Siena ne è la conferma.
Il progetto è di una rete inclusiva, accogliente, capace di superare le barriere identitarie, una rete ugualitaria - il Comitato nazionale ha esclusivo ruolo funzionale - costruita a partire dalle diverse realtà locali, una rete agile e insieme stabile e organizzata, alla cui base stia la dimensione di giustizia. Nessuna vuole diventare partito, ma è concreta la domanda di politica e di interlocuzione con partiti e istituzioni. C’è una nuova forza sulla scena politica nazionale, nata da un patto leale tra le mille realtà femminili che si incontrano e si riconoscono.



Avanti! della domenica N.28 del 17 luglio 2011

I COSTI DELLA (IN)GIUSTIZIA AUMENTANO “un regalo della manovra finanziaria”

ai tempi biblici dei procedimenti civili, ai costi per le parcelle degli avvocati, lo Stato, anziché intervenire con provvedimenti “a favore di”, ha pensato bene di introdurre nella manovra finanziaria un “contributo unificato” anche per le ormai poche cause il cui oggetto non comportava costi. Che la giustizia non funzioni, che il servizio sia scadente, che la giustizia debba essere garantita al cittadino e non tassata, poco importa ad uno Stato vorace, ad una parte del Parlamento ed ad un Governo che si è caratterizzato per “leggi ad personam” ed ora per “leggi  onerosamente contra personem”
Come non definire in questo modo l’introduzione di un contributo unificato per le cause civili e fra queste quelle di lavoro e di famiglia, proprio a carico delle persone più deboli?
Dal “girone infernale dei nuovi contributi unificati”, ne citiamo solo alcuni:
  • Procedimenti ordinari: da 37,00 a 1466,00 euro
  • Procedimenti esecutivi mobiliari: da 37,00 a 121,00 euro
  • Procedimenti di opposizione agli atti esecutivi: 146,00 euro
  • Procedimenti di esecuzione immobiliari: 242,00 euro
  • Procedimenti sommari: da 18,50 a 733,00 euro
  • Procedura fallimentare: 740,00 euro
  • Procedimenti in materia di previdenza: 37,00 euro
  • Separazioni e divorzi consensuali: 37,00 euro
  • Separazioni e divorzi giudiziali: 85,00 euro
Mentre SOS Diritti PSI, si schiera a favore dell’Ordine degli Avvocati che già ha protestato per l’iniquità di tali provvedimenti (che avranno valore dal 6 luglio us), rivolge un appello ai Parlamentari di ogni schieramento “rendere giustizia ai deboli”, pronunciandosi contro l’introduzione del contributo unificato, emendando il DL 98/2011 e stralciando le relative previsioni normative.

 Mario Guidetti   (SOS Diritti PSI)    Rosario Genovese  (V.segretario prov.le PSI)  Rita Moriconi  (Consigliere Regionale)   

Comunicato Stampa Biotestamento

“La legge approvata alla Camera dei deputati sul biotestamento, è inaccettabile” - ha dichiarato il Consigliere Regionale PSI Rita Moriconi – “con questa impostazione la libertà di autodeterminazione della persona, permettendo ad un terzo, Giudice o Medico che sia, di decidere quando e come privare di acqua e cibo un essere umano indifeso ed in fine di vita è negata. Non è accettabile la cultura da aguzzini della morte che una parte politica con questa legge vuole fare diventare pratica quotidiana nel nostro Paese. Una legislazione assurda, prima che inaccettabile, per il rispetto dei diritti fondamentali dell'individuo in una democrazia liberale. Dopo l’approvazione di questa legge ci si deve attivare per promuovere immediatamente un referendum abrogativo”

Bologna 13 luglio 2011

IL Consigliere Rita Moriconi presenta in Consiglio una risoluzione per il sostegno delle Cure Palliative Pediatriche

Voglio innanzitutto porgere il mio personale ringraziamento alla collega Paola Marani che, con la risoluzione n° 1002 del 2 Febbraio u.s., ha per prima sollevato le delicate ed urgenti problematiche legate alla somministrazione delle Cure Palliative, ponendo una questione che, a mio avviso, prima ancora che il campo medico investe intimamente la sfera etica di ognuno di noi ed anche quella più profonda, legata alla sofferenza, che, se risulta già straziante nel caso degli adulti, lo diventa in misura ancora più cocente quando parliamo di bambini.
Purtroppo, quando si pensa alle malattie inguaribili, il più delle volte non si considera mai che questi tristi accadimenti possano riguardare i bambini ed i minori in genere e si tende a non riflettere - quasi per una sorta di difesa psocologica – sul fatto che anche queste fasce di età possono essere vittima di patologie che non lasciano via di scampo ed allora, ad una prima considerazione, si potrebbe pensare che tutto quello che vale per gli adulti - sul piano clinico, psicologico , relazionale e spirituale - possa essere in qualche modo applicato anche ai minori.
Le cure palliative che riguardano i minori comportano invece una modalità di attuazione ben diversa: devono essere infatti regolate a seconda delle situazioni biologiche, relazionali, sociali e cliniche di un paziente che, nonostante tutto, continua a crescere ed a variare il piano delle sue esigenze psicologiche, il che comporta, evidentemente, la necessità di cambiare continuamente sia le azioni cliniche da intraprendere come anche il livello organizzativo e programmatorio delle strutture sanitarie.
Tutti gli studi medici e la letteratura internazionale in materia confermano che il numero dei minori cui vanno somministrate cure palliative è in costante aumento, non perché siano aumentati in quantità i minori affetti da patologie gravi, ma perché il progresso medico e tecnologico consente oggi la sopravvivenza di neonati, bambini ed adolescenti portatori di malattie che un tempo risultavano rapidamente letali; e tutto ciò comporta un aumento complessivo dei bisogni e la necessità di attivare risposte adeguate da parte delle Istituzioni come delle strutture sanitarie.
L’OMS definisce le cure palliative come “l’attiva presa in carico globale di corpo, mente e spirito del bambino e comprende il supporto attivo alla famiglia
E sul tema della famiglia occorre soffermarsi un attimo. E’ certo atroce vedere soffrire un adulto, ma credo che cercare di attenuare le sofferenze di un bambino sia qualcosa che vada al di là del bene: è un istinto primordiale, è l’ultima forma di amore che un genitore può fare per suo figlio. Supportare la famiglia in questa fase del decorso clinico – sul piano psicologico, logistico ed informatico - diventa perciò fondamentale, affinchè anche ciò che sta intorno al minore possa essergli di aiuto psicologico e migliorare la qualità dei suoi livelli di vita.
Ho sentito recentemente dire da un medico che, anche quando siamo di fronte ad una patologia che non lascia via di uscita, “non tutto del bambino malato è malato”, e dunque occorrerà che che le cure di cui ha bisogno siano il più possibile compatibili con il contesto di vita cui era abituato prima della malattia: sia esso la sua famiglia, la scuola ed il gioco.
Tutti quelli di cui vi ho parlato sono punti essenziali da cui partire per affrontare un ragionamento serio e concreto su di un argomento così delicato e, lasciatemelo dire, anche straziante e sono premessa essenziale per la risoluzione che oggi presento, che si pone l’ obiettivo:
  • di monitorare l’attività del Gruppo di Lavoro “La Rete di cure palliative pediatriche” - che ha l’obiettivo di contribuire a definire un programma regionale inerente “La rete di cure palliative pediatriche”, nell’ambito degli obiettivi fissati con la Determinazione della Giunta Regionale n. 5410 dell’ 11 Maggio 2011- affinché la riflessione sull’ eventuale necessità di creare un centro di riferimento regionale per le Cure Palliative Pediatriche, non sia solo una risposta alla crescente domanda di posti letto, ma bensì vada verso la creazione di un centro di rifemento qualificato dove si elaborino e si estendano ad altre strutture regionali le buone pratiche di Cure Palliative Pediatriche;
  • di attivarsi affinché il percorso avviato dal suddetto Gruppo di Lavoro, oltre agli obiettivi già indicati, ponga particolare attenzione alle seguenti azioni:
  1. Predisporre percorsi comuni di formazione delle equipes territoriali e di reparto con periodici e regolari incontri di confronto e condivisione dei casi;
  2. Organizzare l’assistenza domiciliare gestita da personale territoriale (AUSL) in modo tale da consentire alle famiglie di avere incontri conoscitivi prima dell’attivazione del servizio;
  3. Coinvolgere le Associazioni di volontariato che operano sul territorio e presso i reparti in percorsi di formazione atti ad un’ adeguata selezione degli stessi volontari;
  4. Reperire risorse per prevedere la figura dello psicologo a domicilio che, in continuità con il lavoro svolto dai colleghi ospedalieri, possa seguire la famiglia ed il minore nell’ambito dell’ambiente domestico e familiare;
  5. Stanziare risorse per l’attivazione di un protocollo di formazione e sensibilizzazione dei Pediatri che porti verso una scelta positiva rispetto al tema delle Cure Palliative Pediatriche, dell’assistenza domiciliare e degli interventi palliativi nelle strutture ospedaliere;
  6. Definire un protocollo preciso e puntuale che indichi le caratteristiche minime che devono possedere le strutture dove i minori affetti da malattie oncologiche sono presi in carico, affinché si pongano in essere attività che forniscano una qualche forma di continuità con le attività che gli stessi svolgono o svolgevano al di fuori della struttura, come ad esempio la scuola in reparto in connessione con le scuole territoriali di appartenza dei pazienti o l’organizzazione di attività ludico-ricreative come il progetto “Giocoamico” attivato nel reparto di Oncoematologia Pediatrica presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Parma, anche in convezione con Associazioni Onlus operanti nei diversi territori;
  7. Reperire risorse ed attivazione di progetti per protocolli di indirizzo, anche in collaborazione con privati o riqualificando il patrimonio edilizio di competenza delle AUSL o delle locali PA, per un adeguato supporto logistico abitativo al fine di assistere le famiglie dei minori che approdano alle strutture specializzate da territori lontani dai centri.
E' evidente che la terapia palliativa, nell’ambito della pediatria, risulta più difficile e complessa rispetto a quella per gli adulti, e presenta risvolti molteplici e diversi su vari piani.
A detta di chi lavora in questo campo – ma credo sia evidente a tutti - è tutt’altro che semplice assistere e supportare in modo adeguato la fase di una malattia cronica che sta evolvendo verso una progressione inarrestabile, che però può anche avere fasi di recupero o di stabilizzaione più o meno prolungate, come conseguenza di atti medici; e tutto questo risulta ancora più difficile e penoso nel caso di un bambino, che si deve aiutare nel modo meno doloroso possibile (insieme anche alla sua famiglia non dimentichiamolo mai…) ad affrontare secondo i suoi bisogni gli ultimi giorni della sua vita.
Tutto ciò richiede di poter disporre di nozioni scientifiche molto sofisticate, di attuare scelte mediche talora complesse e di poter applicare conoscenze assistenziali molto specifiche e di livello elevato, ed in ambienti tecnologicamente avanzati per non aggiungere difficoltà tecniche a difficoltà cliniche.
Tutto questo richiede dunque la nostra attenzione più alta, non soltanto in qualità di rappresentanti all’interno di un’Istituzione, ma soprattutto come persone che sanno cosa vuol dire amare i bambini.

La risoluzione è stata condivisa e  firmata anche dai Consiglieri PD Marco Monari, Luciano Vecchi, Marco Carini, Marco Barbieri, Gabriele Ferrari, Antonio Mumolo, Roberto Montanari, Paola Marani, Roberto Piva, Anna Pariani, Thomas Casadei, Palma Costi, Roberta Mori, Stefano Bonaccini.

Le Donne Socialiste a sostegno delle Donne.


di Rita Cinti Luciani - responsabile nazionale pari opportunità PSI

Il 9  e 10 luglio a Siena , le donne di ogni parte d’Italia hanno dato vita a due giornate di dibattiti per proseguire un lavoro cominciato il 13 febbraio in tante città italiane all’insegna di “Se non ora Quando”?  Due giornate tese a far sentire maggiormente la voce delle donne in una società che poco ha investito sulle competenze femminili, anzi negli ultimi anni ha fortemente distorto l’immagine delle donne e il loro ruolo. In un momento di grande difficoltà dal punto di vista economico e sociale i dati Istat confermano che l’immagine femminile data dai media e certa pubblicità sono l’espressione della forte resistenza che è ancora presente nel nostro Paese nel lasciare spazio alla libertà femminile e alla piena partecipazione nella vita politica, economica e sociale. Le donne fin dalla primissima età, studiano, danno prova di maturità e serietà ma faticano ad entrare nel mercato del lavoro, per esempio,  perché donne e madri.
Un Paese che invoca il concetto di merito a parole e non a fatti, che non investe in modo paritetico nelle donne, è quindi un Paese senza futuro e i dati in Italia dimostrano proprio che è ancora troppo faticoso trovare uno spazio polico-sociale, ma qualcosa nel 2011 è cambiato e il tema sembra essere tornato finalmente centrale. Oggi, in piena crisi occorre più che mai un impegno trasversale di tutte la donne per creare una rete e far sentire maggiormente non solo la voce ma anche le proposte delle donne e degli uomini che credono nella necessità di una inversione di rotta nella società e che i tagli seppure necessari dato il momento, non debbano però essere apportati in modo indiscriminato al welfare e al sistema dei servizi, cose che colpiscono maggiormente le famiglie e in particolare le donne. La politica ha bisogno di segnali nuovi, all’insegna della partecipazione, della serietà e rigore, ma soprattutto dell’esempio, del buon esempio. Noi socialiste e socialisti pensiamo che le donne possano davvero dare un grande contributo a questo cambiamento, per questa ragione lavoreremo a fianco di chi si sta impegnando in questa direzione.     

Licenziamenti per sole donne

La vicenda della fabbrica Ma-Vib 

di Pia Locatelli - presidente internazionale socialista donne

Ero bambina, quindi alcune decine di anni fa, e ricordo l’aria cupa che si è respirata per un certo periodo nel mio paese, a qualche chilometro dalla città di Bergamo, per i licenziamenti in atto nell’azienda tessile che dava lavoro a gran parte degli abitanti della zona. 
Tutte le famiglie avevano almeno una persona che lavorava al Linificio e quindi i licenziamenti  colpivano la maggioranza delle famiglie. Le cattive notizie arrivavano in successione perché i licenziamenti erano scaglionati. Non ricordo, forse non ho mai saputo, il motivo dello scaglionamento, ricordo con vivida chiarezza l’aria di attesa della “disgrazia” ed il respiro di sollievo quando si scampava al licenziamento dello scaglione. Le prime a “saltare” furono le donne più giovani, poi le altre donne; il dramma fu percepito gravissimo solo quando fu il turno dei padri di famiglia, che arrivò per ultimo.
Questo succedeva cinquant’anni fa. Ora il mondo è cambiato, ma forse solo superficialmente, in profondità le convinzioni e i modelli culturali sono gli stessi, la divisione sessuale del lavoro è ancora presente: agli uomini la produzione, alle donne la riproduzione.
Cinquant’anni fa nel Nord Italia - al Sud era tutta un’altra storia - le donne che “non studiavano” entravano nel mercato del lavoro dopo l’obbligo scolastico e ne uscivano nella quasi totalità con il matrimonio, non al primo figlio. Era un modello culturale: ti sposi e ti dedichi alla casa e alla famiglia, quella che verrà. Quelle che non si sposavano continuavano a lavorare fuori casa fino alla pensione perché non avevano un uomo che le “mantenesse”.
Il mondo nei decenni è cambiato: l’obbligo scolastico a quattordici anni, che ha beneficiato soprattutto le ragazze, gli elettrodomestici, la televisione, la pillola contraccettiva, qualche donna in più in parlamento, la prima ministra, Tina Anselmi al Lavoro, la legge sul divorzio, il nuovo diritto di famiglia, la legge sull’aborto, una maggiore consapevolezza di sé, le donne che si sposano e in numero sempre minore lasciano il lavoro. Grandi progressi che si riteneva conseguiti per sempre, la vita nelle nostre mani, credevamo.
La vicenda della fabbrica di Inzago smentisce questa certezza e ci fa percorrere all’indietro questo processo, perché i licenziamenti delle sole donne confermano che il modello sociale di cinquant’anni fa permane, è ancora cultura diffusa e quando la crisi si fa sentire, le donne sono le prime a pagare perché il loro è lavoro “aggiuntivo”, secondo salario per aiutare il bilancio familiare, un di più che in tanti pensano di scoraggiare attraverso la proposta del quoziente familiare, il più efficace disincentivo al lavoro femminile. E’ innegabile che la crisi continui a far sentire i suoi effetti, con ricadute pesanti sulla occupazione, e che a volte la riduzione del personale sia necessaria. Ma l’emergenza lavorativa, che sarebbe sbagliato negare, non c’entra con il licenziamento delle sole donne ad Inzago.
Quella dei titolari della Ma-Vib, nonno, figlio, nipote, è una decisione più ideologica che aziendale: dovendo ridurre il personale si fa una scelta chiara a favore appunto della divisione sessuale del lavoro: quello produttivo agli uomini e quello riproduttivo alle donne. Non c’entrano le linee produttive da sopprimere o le competenze necessarie all’azienda, l’ideologia prima di tutto e il modello sociale tradizionale a fare ancora da bussola nelle scelte aziendali.
D’altro canto perché dovremmo meravigliarci se, a parità di competenze, il divario salariale medio tra uomini e donne è attorno al 17%, se il gap tra occupazione maschile e femminile è pari al 20%, se a fronte di una richiesta della UE di asili nido che soddisfi almeno il 30% della fascia d’età 0-3 anni non offriamo nemmeno la metà di quanto previsto, se le misure di conciliazione tra vita familiare e vita professionale sono pressoché inesistenti e comunque pensate come se riguardassero esclusivamente le donne?
Il nonno, il figlio, il nipote di Inzago, la “proprietà” - ma non ci sono donne in quella famiglia? - sono accusati dal sindacato di avere motivato la loro scelta con il fatto che le donne possono, o devono, stare a casa e curare i figli. Successivamente  i titolari hanno negato di aver mai pronunciato la frase incriminata.
Mi sembra irrilevante l’aspetto formale della prova della discriminazione, i tre hanno fatto quello che in tanti pensano, a partire dagli stessi lavoratori dell’azienda che temo abbiano considerato il licenziamento delle sole donne il male minore visto che in pochi hanno partecipato alla manifestazione di protesta.
Non credo che questa sia una lotta degli uomini contro le donne, e non credo che gli uomini, che conservano il posto di lavoro mentre le donne lo perdono, possano essere considerati vincitori. Ci perdono tutti, ci perdiamo tutti, perché siamo tornati a cinquant’anni fa e non casualmente la nostra posizione di fanalino di coda in Europa nelle statistiche del lavoro femminile e nel tasso di crescita ancora una volta si conferma.
Cos’è cambiato rispetto a cinquant’anni fa in Lombardia, la regione apparentemente più ricca ed avanzata d’Italia? Poco, tristemente poco.


Avanti! della domenica N.27 del 10 luglio 2011

“ LE DONNE ARABE E LA STRADA PER LA DEMOCRAZIA”




Si è conclusa il 29 giugno, la Conferenza dell’Internazionale Socialista Donne ad Atene, che ha visto un’ampia partecipazione delle rappresentanti di tutto il mondo per affrontare un tema di grandissima attualità dopo “la primavera del medio-oriente”. 
Due giornate di lavoro con il messaggio di saluto iniziale di George Papandreou impegnato in questo momento ad affrontare la grande crisi della Grecia e i momenti di forte tensione che si sono svolti nella capitale. A lui e al popolo greco è stata espressa tutta la solidarietà delle donne socialiste.
Dopo l’apertura dei lavori da parte della Presidente Pia Locatelli,  si sono succedute molte relatrici che oltre a portare la loro esperienza, hanno approfondito ed analizzato il tema dei Paesi arabi e il difficile percorso verso la democrazia, le differenti situazioni ed esigenze, in particolare il ruolo delle donne sia nel  processo iniziato che in quello futuro. 
Le donne hanno svolto un ruolo centrale nella primavera araba, ora il tema fondamentale è come cambiare modello in quei Paesi, creando le condizioni per un processo di modernizzazione condiviso e partecipato, insieme alla necessità  di proporre un nuovo contratto sociale. In molte hanno sottolineato la difficoltà di gestire una transizione che non sempre vede le donne coinvolte per contribuire alla realizzazione di Carte Costituzionali a garanzia di una vera democratizzazione di questi Paesi. Certamente le proteste e i fenomeni di diffusione delle informazioni non sono circoscritti ai soli giovani ma trasversali a tutti gli strati sociali e religiosi,con le donne sicuramente in percentuali molto elevate, perché convinte della necessità di una partecipazione alla vita politica, sociale ed economica dei loro Paesi. 
Ciò che è accaduto in sé è importante, ma in tante hanno ribadito che questo non significa  parità di opportunità per le donne, molte delle quali nei mesi scorsi sono state imprigionate, picchiate, torturate e violentate proprio per il loro impegno. 
Dopo un ampio dibattito è stata approvata una risoluzione proposta dall’esecutivo socialista che prevede numerosi punti tra questi l’impegno della Comunità internazionale in azioni concrete tese a sostenere la protezione dei diritti umani e a trasformare la cultura della violenza in cultura per la pace e la convivenza. L’appello quindi a sostenere la lotta delle donne arabe, ad impegnarsi per promuovere l’empowerment delle donne in tutte le sfere della vita e a costruire “ponti” con le organizzazioni femminili all’interno del mondo arabo per la realizzazione di un processo di democratizzazione e pace senza discriminazioni. 
Due giornate di grande interesse che hanno visto le donne socialiste impegnarsi per contribuire, come sempre hanno fatto nella storia al cambiamento della società.

Rita Cinti Luciani
responsabile nazionale pari opportunità PSI




AD ATENE IL CONSIGLIO DELL'INTERNAZIONALE SOCIALISTA DONNE

presieduto da Pia Locatelli, si riunisce ad Atene il Consiglio dell'Internazionale Socialista donne, che avrà come tema " Le donne arabe e il cammino verso la democrazia" 

DIRITTI E UNIONI CIVILI, C’E’ UN’ITALIA CHE ASPETTA


Alcune distanze tra la politica nazionale e la vita delle persone sono sempre più difficili da accettare. In tema di unioni civili l’Emilia-Romagna, come altre regioni e comuni italiani, “si è messa avanti”, con l’accesso paritario ai servizi o con albi volontari delle coppie di fatto, in attesa che a Roma aprino gli occhi su una società cambiata da decenni.

La consapevolezza di un’alba
di Rita Moriconi, consigliera regionale PSI – Gruppo PD

Pubblico questa lettera perché, come concreta storia di vita, credo che valga di più di tanti progetti di legge che giacciono dimenticati in Parlamento o dei molti articoli di giornali che servono solo ad imbellettare le campagne elettorali senza che poi, in concreto, si sia fatto mai qualche passo avanti.

Cara Rita,
ho deciso di scriverti questa lettera perché tu possa essere consapevole, insieme a me, e far sapere, che esiste un’Italia che aspetta un diritto tremendamente banale: quello di poter stare insieme e basta. So che questi problemi li può risolvere chi sta a Roma, ma non ne posso più di sentir parlare soltanto dei processi di Berlusconi o del calcio: ho bisogno di parlare di un problema reale!
In più di dieci anni di convivenza con il mio compagno molti sono stati i momenti in cui qualcuno ci ha chiesto se eravamo una coppia e ci ha fatto fare strani giri burocratici perché non eravamo regolarmente sposati. Tutto si era sempre risolto per il meglio, solo l’occhio stanco di qualche impiegato che ci guardava storto perché gli complicavamo il lavoro, niente di più. Ci sentivamo confortati dal vedere intorno a noi tanti altri nella nostra condizione, quasi che il numero facesse la forza, senza essere davvero consapevoli che può bastare un ostacolo inaspettato a fermare un percorso di vita; e proprio nei momenti più delicati, quelli in cui si deve scegliere per l’altro, allora scopri, crudelmente, di essere solo e che il diritto si ferma dove non arriva la carta bollata. Noi siamo cresciuti nei combattivi anni ’70 e di diritti civili se ne parlava nelle piazze, nei bar e in casa e sembrava che il cammino verso la conquista di nuove forme di convivenza avesse la strada spianata: bisognava soltanto aspettare… Allora ci siamo messi insieme pensando che, prima o poi, avremmo potuto regolarizzare la nostra unione. Poi gli anni sono passati, con momenti felici e bui, in cui abbiamo condiviso ogni cosa: il letto, il bagno e la cucina, che sono sempre il vero banco di prova per ogni coppia.
Una notte il mio compagno si è sentito male e siamo andati al pronto soccorso. Nulla di grave, un banale attacco di appendice, che però presupponeva un’operazione da fare urgentemente. Allora è arrivata la domanda: lei è parente? Beh molto di più in realtà, viviamo insieme da 10 anni…. Ma non c’è un parente prossimo con cui io possa parlare? Guardi, il mio compagno ha tanti cugini che vede con gioia tutti gli anni a Natale, ma che non sanno nulla di lui, dei suoi disturbi, delle sue analisi del sangue….Ci sono sempre io al suo fianco in queste cose…siamo una coppia, tutti i giorni, non solo per le serate con gli amici! Quel primario mi ha guardato con gli occhi di chi ha già visto molte situazioni simili nella sua carriera e, senza battere ciglio, mi ha parlato dell’operazione, mi ha permesso di aspettare fuori dalla camera operatoria e di assistere il mio compagno nei giorni successivi. Per questo l’ho ringraziato di cuore e continuo a ringraziarlo, rallegrandomi di aver avuto fortuna in quell’alba in cui ho capito di non essere nulla di fronte alla legge per chi ha vissuto con me per oltre 10 anni. Ma ti sembra possibile Rita che, nel 2011, in un Paese che riteniamo civile, non ci possa essere un altro modo per affrontare questi problemi se non affidandosi soltanto al buon cuore altrui? D.”

A tutti quelli che vivono esperienze come questa, che siano coppie eterosessuali o omosessuali, dico chiaramente che così non può funzionare! Non è possibile, oggi, non trovare forme di contratto che autorizzino compagni e compagne a prendersi cura dei loro cari, proprio perché credo fermamente che l’amore sia un VALORE prima di ogni contratto. E’ tempo di far sentire la vostra voce FORTE E CHIARA ed è tempo che la POLITICA SI MUOVA e dia soddisfazione a tutte le centinaia di migliaia di coppie non sposate che vivono la loro vita tutti i giorni e si prendono reciprocamente cura l’un l’altro. Per parte mia farò tutto quello che è in mio potere per portare avanti questa battaglia con SERENITA’, CONVINZIONE E FERMEZZA, perché in amore non c’è serie A o serie B, ma solamente il diritto di stare vicino alla persona che si ama e questo vale oltre e di fronte ad ogni credo, convinzione o pregiudizio.

LAVORO E QUOTE GIOVANI. QUALCHE RISCHIO MA E' UNA STRADA

di Claudia Bastianelli 
Ho letto con particolare interesse l’articolo uscito su l’Avanti! della domenica n. 23, firmato da Francesco Castria, giovane dottore commercialista.
Castria, parlando della situazione lavorativa dei giovani italiani propone di inserire una “quota” del 25% riservata ai giovani con età inferiore ai 35 anni nei Cda delle aziende quotate e degli incarichi in Enti Pubblici, Amministrazioni Locali, Tribunali ed Asl, con lo scopo di permettere loro di fare esperienza, di portare nuove idee e di dimostrare che in Italia il destino dei giovani sta a cuore alla classe politica dirigente. Castria continua sottolineando che la soluzione da lui proposta non comporterebbe costi, ma solo l’introduzione di un articolo negli Statuti o bandi che riporti tale vincolo.
Devo ammettere che la cosa mi ha indotto ad un’attenta riflessione sul tema e soprattutto sulla soluzione proposta. In realtà, come donna, ho già affrontato in precedenza la questione delle “quote”, sottolineando la mia contrarietà, ritenendole forme di ghettizzazione, che non sempre premiano le migliori, ma anzi inducono a far ricoprire ruoli, anche di primo piano, a donne che non vadano ad inficiare la supremazia maschile. Non nego, dunque, che la mia prima reazione all’articolo di Castria si è riassunta sulla stessa posizione, convinta del fatto che il merito debba essere il primo criterio di selezione in ogni campo, per ogni genere e generazione. Allo stesso tempo però, sono pienamente consapevole che le problematiche sollevate dal giovane professionista non solo sono assolutamente vere, ma sono fin troppo sottovalutate da chi non vive l’esperienza di entrare nel mondo del lavoro ai giorni d’oggi.
Se da un lato è assolutamente vero che l’esperienza, soprattutto quando si tratta di ricoprire certi ruoli, è cosa imprescindibile, dall’altra è pur vero che troppo spesso quegli stessi ruoli sono affidati nelle mani di professionisti nominati che evitano in ogni modo di “lasciare il passo” ai giovani meramente per motivazioni economiche. Il sistema di formazione dei giovani professionisti, così come prevede la legge italiana, è a dir poco estenuante nonché particolarmente oneroso per le loro tasche. Fin quando per poter esercitare è necessario fare fotocopie rinchiusi in qualche stanzetta di studi altisonanti per qualche anno, consapevoli che il titolare dello stesso non ha alcun interesse ad insegnare veramente i trucchi del mestiere, causa il rischio di essere un giorno prevaricati o addirittura concorrenti del praticante, nulla potrà veramente cambiare.
La mia riflessione si è poi concentrata anche sul fatto che, ammesso che la proposta di Castria venisse accolta, si potrebbe proporre un altro problema non da sottovalutare: tenendo presente che la mobilità sociale in Italia è molto bassa, il rischio in cui si potrebbe incorrere è che i professionisti di lungo corso lascino il passo ai giovani figli e nipoti, anche in questo caso in barba al merito. Ogni qualvolta la scelta del candidato avviene per nomina e non per concorso, chi ci assicura che siano davvero i più bravi ad assumere l’incarico?
L’unica soluzione forse sarebbe una vera riforma delle professioni collegata all’abolizione degli albi, che ormai si identificano con delle vere e proprie caste. Questa posizione, tra l’altro, è stata più volte espressa anche dalla Federazione Giovani Socialisti che, grazie anche alle esperienze riportate da molti degli iscritti, ha intercettato i disagi, noti a tutti ma sottaciuti, che il sistema attuale comporta. Forse soltanto dopo aver reso veramente accessibile a tutti la possibilità di intraprendere una carriera professionale, sia di tipo legale, commercialista, medica o altro, si potrebbero introdurre regolamentazioni e percentuali incentivanti l’accesso dei giovani anche ad incarichi pubblici o in spa, al fine di garantire un vero e corretto equilibrio tra rinnovamento generazionale e merito.
Il tema è di massima attualità ed interesse e mi auguro che dal nostro Partito, sulla scorta di questo dibattito, possa giungere una proposta concreta.

bufale

di Rita Cinti Luciani - responsabile nazionale PSI pari opportunità

E' l'ennesima "bufala" di questo governo alle spalle dei cittadini, in questo caso delle donne. Per le donne del pubblico impiego è già previsto un innalzamento dell'età pensionabile "graduale" per far risparmiare al governo risorse. Quattro miliardi in dieci anni, un piccolo tesoro che si erano impegnati ad utilizzare per interventi dedicati a favorire l'inclusione delle donne nel mercato del lavoro, per favorire la conciliazione dei tempi di vita e lavoro, ma anche per in fondo della non-autosufficienza nazionale che incide sicuramente sulla vita delle donne. 
Ebbene di tutto questo: NULLA. Già nel 2011 sono sparite risorse, pare circa 250 milioni che non si sa come siano stati utilizzati. Il Governo continua a disattendere gli impegni presi con gli italiani incurante del fatto che donne e giovani rappresentano un'emergenza importante per il Paese sia dal punto di vista occupazionale che dei servizi. Occorre certamente mobilitare la politica per evitare che ancora una volta, fondi da dedicare all'implementazione dei servizi rivolti alla famiglia, vengano utilizzati senza sapere come.
E' un argomento del tutto trasversale e quindi come socialiste ci auguriamo che all'interno del Senato e Parlamento ci si mobiliti per fare chiarezza. 
Ma certamente il Presidente del Consiglio e il Ministro Brunetta hanno altro per la testa!

LE DONNE STRANIERE ABORTISCONO MENO SE HANNO VICINO UN “MEDIATORE”

di Daniela Mignogna
Negli ultimi anni abbiamo assistito alla progressiva diminuzione del tasso di abortività tra le donne italiane a fronte della crescita del ricorso all’IVG (interruzione volontaria di gravidanza). I dati più recenti ci mostrano che anche tra le donne immigrate comincia a calare il tasso di abortività e questo soprattutto in quelle regioni dove sono più avanzati i programmi e le politiche di integrazione, compresi quelli interni al sistema sanitario che prevedono precisi interventi di mediazione linguistica e culturale.  Questo è quanto ha dichiarato il direttore del Reparto salute della donna dell’Istituto Superiore di Sanità, e ha fornito il dato che conferma come il lavoro di queste figure professionali vada ben oltre quella visione volontaristica e ancellare che in molti si ostinano ad avere nei confronti dei circa 4.000 operatori della mediazione sanitaria che operano nel nostro Paese.
Ma non basta. La mediazione fa anche risparmiare risorse e grazie alla mediazione si possono abbattere inappropriatezza prescrittive e terapeutiche a tutto vantaggio delle casse del sistema sanitario nazionale.

Insomma la mediazione sanitaria non è un “peso” da pagare all’immigrazione ma un’opportunità da cogliere per ammodernare il sistema sanitario anche in questa fase di forti flussi immigratori che richiedono risposte certe e stabili, fuori dalla logica emergenziale.
E’ stata chiesta da tempo, ma ancora non ha ancora visto la luce, una legge nazionale per il riconoscimento della figura professionale del mediatore e per la razionalizzazione dell’iter formativo, così da superare l’attuale giungla che vede corsi che offrono attestati anche con sole 50 di lezione a fronte delle 400 previste da una direttiva del 2009 del Ministero del Lavoro, ma che conta anche l’esistenza di corsi di laurea ad hoc.

Le Regioni, in effetti, si sono già mosse ma, come spesso capita in sanità, in modo diverso tra loro. Sia dal punto di vista formativo, avviando corsi con monte ore e caratteristiche diversi, sia dal punto di vista organizzativo. Una diversità da salvaguardare per le specificità dei bisogni e dei territori ma sulla quale nulla osta a una normativa nazionale che fissi i paletti di orientamento per formazione, ruolo e competenze di questi operatori.
Abbiamo tutti gli elementi per fare di queste figure una presenza garantita in tutte le strutture sanitarie pubbliche. E per farlo, non servirebbe neanche una legge, basterebbe la volontà delle amministrazioni regionali e delle Asl, anche se dubito che in questa fase e in questa congiuntura politica esista tale volontà.

Codigoro riconferma Rita Cinti Luciani

A Codigoro (Ferrara) il risultato è ufficiale, Rita Cinti Luciani della lista Unione per Codigoro è stata confermata sindaco. 
I codigoresi le hanno riconfermato la fiducia, dato che al termine dello spoglio la candidata del centrosinistra per la lista Unione per Codigoro ha ottenuto il 49,40% dei voti. Sempre a Codigoro il centrodestra con Paolo Menegatti prende il 26,69%, Andrea castagnoli del Movimento 5 Stelle il 15,02% e Annalisa Felletti di Alternativa Civica l’8,88%.

fonte - estense.com

MARINA LOMBARDI, SOCIALISTA, ELETTA SINDACO DI STELLA, IL PAESE DI PERTINI.

Marina Lombardi, donna, socialista, conquista con il 64% dei voti, il Comune di Stella, la cittadina che diede i natali all’amatissimo presidente della repubblica, Sandro Pertini.
Doppia soddisfazione per i socialisti perché la candidata, 47 anni, che è membro del consiglio nazionale del Psi, non solo ha conquistato il comune ma battuto il sindaco uscente del Pdl, Anselmo Biale, riportando l’amministrazione di Stella nel centrosinistra. Tra i primissimi a complimentarsi col neosindaco, il segretario del Psi, Riccardo Nencini, che ha parlato di “vittoria beneaugurante per i socialisti e segnale di vera inversione di tendenza che fa sperare per il meglio tutti i riformisti”.

UNA TUTELA REGIONALE CONTRO LE DISCRIMINAZIONI VERSO LE DONNE CON DISABILITA’

di Daniela Mignogna

Il 66% delle persone disabili che vive in Italia è donna. Un dato che deve far riflettere sulla necessità di interventi specifici e mirati all'universo femminile.

Sono 1 milione e 860 mila le donne italiane disabili. Un numero doppio rispetto agli uomini e pari al 6,1% dell'intera popolazione femminile italiana (vedi dossier Istat). Donne spesso vittime di una doppia discriminazione, quella di donne e quella di disabili.

E’ innegabile che tra un uomo disabile e una donna disabile vi siano differenze fisiche, culturali, o anche più comunemente legate ai servizi, che rendono del tutto peculiare e difficile la condizione di donna disabile. Non dobbiamo dunque ‘dividere’ tra disabilità maschile e disabilità femminile, bensì cercare di promuovere gli stessi diritti per tutti, rimarcando però le profonde diversità esistenti e fino ad oggi troppo spesso ignorate. Occorre perciò mettere in rete le specifiche esperienze, esigenze, problematiche, per promuovere una comune cultura dell’attenzione verso l’altro.

Bisogna abituarsi a considerare la persona con disabilità non più come ‘malato’ ma come ‘persona avente diritti’. Con riferimento alle iniziative istituzionali già intraprese a tutela delle persone disabili, occorre proporre che a livello regionale, siano istituiti in tutta Italia “Osservatori di tutela contro le discriminazioni” che puntino ad adeguare la legislazione regionale alla normativa europea e nazionale, istituendo un organismo regionale di garanzia nei confronti delle persone vittime di discriminazioni, e che monitori sul territorio il fenomeno riguardo alle discriminazioni di genere ma anche a quelle legate all'orientamento sessuale, all'appartenenza etnica, alla religione, all'età, all'handicap e alle discriminazioni multiple.

CONGRESSO UDU.BASTIANELLI (FGS) : LE NUOVE GENERAZIONI NON HANNO FUTURO NEL NOSTRO PAESE

"Diritti al futuro" questo è il titolo dato dai giovani studenti dell'UDU al prprio congresso svoltosi in questi giorni a Chianciano Terme. Il congresso si è svolto in quattro sessioni, ognuna delle quali ha approfondito tematica di attualità socio-politica. Dallo scenario attuale della crisi economica che indebolisce anche il sistema dei saperi, ai rapporti tra studenti e politica e non solo, su questi punti oltre 500 studenti provenienti da tutta Italia si sono confrontati. Al congresso sono stati invitati anche i " Giovani Socialisti ", che proprio insieme all'UDU ed altre formazioni di centro sinistra alle ultime elezioni universitarie hanno ottenuto una netta affermazione sulle associazioni studentesche di destra. In rappresentanza della FGS è intervenuta Claudia Bastianelli che ha evidenziato le lacune dell'attuale Governo che non sta investendo sulle nuove generazioni,anzi acuisce sempre più i tagli alla Scuola pubblica,Università e ricerca aumentando il tasso di disoccupazione e la fuga di cervelli all'estero.

CONTRASTARE L'ESCALATION DEGLI ATTACCHI ALLA SCUOLA STATALE

di Maria Squarcione

Continua l'escalation dell'attacco alla scuola statale.
Non basta - afferma Maria Squarcione, responsabile nazionale scuola del Psi - averle sottratto risorse indispensabili; non basta averne decretato tecnicamente la chiusura, così come analisti certificano, nel giro di pochi anni a causa della scarsità delle risorse; adesso, per "mano" della Carlucci onorevole - non nuova a iniziative del genere (basti ricordare la figuraccia con gran parte della comunità internazionale di studiosi di Fisica a proposito dell'allora candidato alla direzione del CNR, Luciano Maiani) si intendono mettere all'indice i manuali di storia "comunisti", colpevoli di non esprimere un orientamento di valutazione soprattutto della storia recente gradito al governo.
L'aspetto repressivo- sottolinea Squarcione - espresso dall'attacco furioso alla legittimità dell'azione giudiziaria, si coniuga dunque con una dimensione preventiva che si concentra naturalmente sull'istruzione.
La violenta polarizzazione dello scontro, secondo la quale ogni iniziativa parlamentare di riforma è connotata "contro" una parte e non "per" il benessere della Nazione, alimenta quel clima da guerra civile strisciante - conclude l'esponente socialista - che è il vero problema da affrontare e che solo forze autenticamente democratiche e riformiste come il Psi possono contrastare. 

Donne che cambiano il mondo


Rita Cinti Luciani - Patrizia Marchetti

Unità d’Italia e donne protagoniste della storia di questo Paese è stato il filo conduttore dell’iniziativa che abbiamo promosso a Firenze (capitale dal 1865-1871) al Palacongressi il 26 marzo.
Particolarmente significativi ed emozionanti gli interventi, tutti al femminile, che hanno dato vita ad un confronto e scambio di esperienze per un concreto sviluppo della cultura dei diritti e delle pari opportunità.
Sono state tante le donne che hanno attraversato la storia, spesso in silenzio, combattendo pregiudizi e affermando idee per raggiungere l’emancipazione politica, economica e giuridica che oggi conosciamo. A loro sovente la storia non ha riservato posti d’onore, offrendo rappresentazioni parziali, perché la storia delle donne è contrassegnata da un’esclusione sociale che risale a tempi antichi e l’Italia è ancora troppo piena di storie di donne, taciute. Noi socialiste e socialisti vogliamo invertire la rotta.
Donne celebrate, altre sconosciute, madri, mogli, compagne, personalità importanti nei vari ambiti sociali, imprenditoriali, culturali, amministrativi, politici, istituzionali, comunque tutte straordinarie, che grazie al coraggio, alla passione e tanti sacrifici, hanno segnato storie quotidiane della vita italiana e internazionale, hanno contribuito al riconoscimento di diritti fondamentali.
Donne come Repubblica Garibaldi un’eroina ribelle, mirabilmente portata all’attenzione generale dalla prima relatrice del convegno, la scrittrice Genziana Ghelli, che attraverso il filo della memoria ha ricostruito la vita ricca di passioni ed ideali di questa protagonista del Risorgimento, probabilmente figlia naturale di G. Garibaldi.
Nada Giorgi, “la ragazza di Bube”, con il proprio intervento ha ricordato, negli anni della resistenza e del fascismo, l’impegno, la determinazione ed il sacrificio di tante donne per la difesa degli ideali di libertà e giustizia.
Mariella Magi Dionisi, vedova dell’agente Fausto Dionisi ucciso da Prima Linea, ha testimoniato il dolore, la solitudine e il coraggio di tante madri, mogli e figlie che hanno subito l’assurda violenza degli anni di piombo e l’impegno quotidiano perché la società “non dimentichi” le tante vittime innocenti di un periodo buio della storia italiana. Testimoni dell’Italia contemporanea sono state Elisabetta Cianfanelli, Assessore al Turismo, Pari Opportunità del Comune di Firenze, e Regina Schrecker stilista e rappresentante della Fondazione Bellisario in Toscana.
Due figure femminili di spicco del panorama amministrativo ed imprenditoriale attuale che hanno sottolineato quanto ancora siano troppo poche le donne con ruoli apicali in Italia e quanto sia necessaria una maggiore rappresentanza in tutti i settori della vita pubblica.
«Ogni amministrazione comunale italiana dedichi una via o una piazza a figure femminili che, pur non menzionate nei libri di storia, siano state protagoniste nella costruzione della nostra identità nazionale», è la proposta che il nostro segretario nazionale Riccardo Nencini,  ha lanciato a conclusione del convegno.
Anche la politica, secondo Nencini, deve compiere degli atti concreti per valorizzare il ruolo della donna ed i socialisti si impegneranno in questa direzione. «E’ notizia di oggi – ha detto a tal proposito il segretario – che l’assemblea regionale siciliana ha respinto una proposta di modifica della legge elettorale che introduceva la seconda preferenza di genere. In Toscana è stato presentato proprio dai socialisti un provvedimento analogo, che mira ad aumentare la presenza femminile nelle istituzioni, e ci auguriamo che questa regione possa dimostrare maggiore sensibilità rispetto a quanto avvenuto in Sicilia. Il PSI, ha concluso Nencini, si mobiliterà su scala nazionale affinché la parità di genere in politica non sia più un’utopia ma diventi una realtà concreta e consolidata”.

Legge 328: riforma mancata oppure opportunità da incrementare?

Se ne parlerà a Bologna il 2 aprile, nel corso di un incontro pubblico dedicato in particolare alle situazioni di iniquità - tuttora perduranti anche in Emilia Romagna - da parte di quei Comuni che continuano a pretendere dalle persone con disabilità o dalle loro famiglie una serie di "contributi", per usufruire dei servizi di trasporto e di assistenza domiciliare, oltreché dei cosiddetti servizi semiresidenziali e residenziali. Al convegno parteciperanno vari esponenti di associazioni di tutela della disabilità di Bologna e Provincia e alcuni dirigenti del Settore Socio-Sanitario della Regione Emilia Romagna (superando.it)

«I familiari di persone con disabilità e le associazioni di tutela della stessa - dichiara Daniela Mignogna, responsabile del Forum su Facebook Sindrome di Angelman Italia, recentemente riconosciuto anche dall'ORSA (Organizzazione Sindrome di Angelman) - ritengono ingiusti i comportamenti di molti Comuni i quali chiedono sempre più soldi per l’accesso ai servizi essenziali e non rispettano le leggi esistenti. Si tratta di una situazione di illegalità che passa tranquillamente fra l'indifferenza generale di tutte le forze politiche ed è ora che questo problema venga posto all'attenzione anche dei "nostri" vertici e soprattutto di quelli di Comuni  e delle Regioni».
«Mi riferisco - prosegue Mignogna - ai "contributi" che le Amministrazioni Comunali chiedono alle persone con disabilità o alle loro famiglie per usufruire dei servizi di trasporto, di assistenza domiciliare, oltreché dei cosiddetti servizi semiresidenziali e residenziali. In particolare va ricordato che il Decreto Legislativo 130/00 (articolo 3, comma 2) ha stabilito che per l'accesso ai servizi sociosanitari riguardanti le persone con grave disabilità si debba fare riferimento al solo ISEE individuale [l'ISEE è l'Indicatore della Situazione Economica Equivalente, N.d.R.], cioè che non debbano essere conteggiati i redditi e i patrimoni dei familiari. A Bologna, però, questo ad esempio non succede e in generale nell'Emilia Romagna la situazione è ancora dibattuta e complessa».

Dall'evidenza di questi problemi, è nata dunque l'idea di promuovere il convegno intitolato E io?... Avrò cura di te? La Legge 328 ha compiuto 10 anni: una riforma mancata o una opportunità da incrementare? La parola a chi si occupa di disabilità, incontro pubblico che si terrà sabato 2 aprile a Bologna (Amadeus Hotel, Via Marco Emilio Lepido, 39, ore 15), con il quale affrontare - avvalendosi della presenza tra i relatori di esponenti di numerose associazioni di tutela della disabilità di Bologna e Provincia, oltreché dei dirigenti del Settore Socio-Sanitario della Regione Emilia Romagna - una situazione tuttora densa di problemi, iniquità e carenze. «Un momento di confronto - conclude Mignogna - che tenda soprattutto a portare alla luce i problemi delle persone disabili in ogni contesto della vita».
Da segnalare che oltre agli esponenti istituzionali, a rappresentare le associazioni, vi saranno tra gli altri Ermes Rigon, presidente del Forum delle Associazioni di Familiari dell'Emilia Romagna, Antonella Pini, presidente della UILDM di Bologna (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), Giuseppe Urbinati, vicepresidente dell'ANFFAS di Bologna (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale), Edgardo Modelli, presidente provinciale dell'ANIEP (Associazione Nazionale per la Promozione e la Difesa dei Diritti Sociali e Civili degli Handicappati) e Danilo Rasia, presidente dell'Associazione Territoriale per l'Integrazione Passo Passo. I lavori saranno coordinati, introdotti e conclusi dalla stessa Daniela Mignogna. (S.B.)