Contributi al documento delle donne per il II° congresso nazionale del PSI





E' tempo di donne


di Maria Squarcione

Il dibattito congressuale di un partito socialista, laico e progressista non può prescindere dalla riflessione specifica e dall'assunzione programmatica di un impegno inderogabile nei confronti dei temi della parità di genere. Tra i quali, a giudizio dell’ISTAT, ce n’è uno particolarmente urgente: quello del lavoro. Nel 2009 il tasso di occupazione femminile in Italia si è attestato al 46,1%, a fronte di quello maschile che è del 67,6%. In numeri assoluti, dunque, gli uomini occupati sono 13 milioni e 613 mila, mentre le donne 9 milioni e 218 mila, cifre ben distanti da quel 60%, entro il 2010, che era l'obbiettivo comunitario, stabilito dalla strategia di Lisbona. In particolare, il numero di donne occupate nel sud è pari al 30,6%, dove peraltro il divario occupazionale tra i generi aumenta, e il numero delle donne inattive - cioè che non studiano e non lavorano in un'età compresa fra i 15 e i 64 anni - è di 9 milioni e 679 mila, pari al 45,8%, come media nazionale. Dati perfettamente congruenti con quelli OCSE, che vedono l'Italia ben al di sotto del 50% di occupazione femminile, meglio solo di Turchia e Messico, e ancora molto lontana dalla media europea che è del 62%. D’altronde, già nel 2008, uno studio italiano sulla questione aveva confermato questa come l’emergenza fra tutti i temi legati al genere: «Da anni l'Italia cresce poco o nulla. Cresce poco dal punto di vista economico e cresce ancora meno dal punto di vista demografico (soprattutto se escludiamo l'immigrazione). I due fenomeni sono già adesso collegati. Ma lo saranno ancora di più in futuro: una società "vecchia" non ha i muscoli per correre, per tenere il passo con società più giovani e dinamiche. Al fine di rilanciare la crescita dell'Italia si possono e si devono fare molte cose: liberalizzazioni, mercati più efficienti, un fisco più leggero per imprese e lavoratori, più incentivi per ricerca e innovazione, più sostegno per i figli e così via. Ma c'è una cosa forse più importante e più urgente su cui puntare: il lavoro delle donne. Per far ripartire l'Italia, si deve "far largo alle donne", dare più spazio alle loro aspirazioni, ai loro talenti, ai loro bisogni. Senza le donne l'Italia non può tornare a crescere, soprattutto a crescere bene». Così Maurizio Ferrera, docente di Teoria e politiche dello stato sociale all'Università di Milano, nel suo libro "Il fattore D". Affermare la necessità di riequilibrare con urgenza l'occupazione femminile non coincide solo con l'affermazione di un principio di equità e giustizia, bensì anche con una valutazione più squisitamente economica, che investe il rilancio dell'intera nazione. Il primo aspetto - l'equità e la giustizia - è garantito e tutelato dalla Costituzione Italiana, nell'art. 37: «La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e a parità di lavoro le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale, adeguata protezione». Articolo che non solo sancisce l'uguaglianza dei diritti tra uomo e donna - «senza distinzione di sesso», come sottolinea già l'art.3 - ma stabilisce anche la parità delle condizioni di accesso alle opportunità e di trattamento, nonché la funzione sociale della maternità. Il secondo aspetto, cioè quello più prettamente economico, che vede nel rilancio dell’occupazione femminile un volano per la crescita dell’intera società, viene confermato invece dall’osservazione dell’esperienza di molte società europee: dall’Olanda alla Svezia, dalla Gran Bretagna alla Francia. L’esperienza europea ci conferma che inserire più donne nel mercato del lavoro ha coinciso con un aumento dei servizi alle famiglie e dei servizi in generale, cioè con un’espansione del terziario avanzato o, con altra espressione, dell’artigianato terziario; l’esperienza americana ed europea, francese in particolare, ci conferma inoltre che abbattere il “soffitto di cristallo” ha significato non solo l’emersione di talenti “rosa”, che hanno prodotto risultati positivi rispetto a numerosi indicatori di performances aziendali, ma anche un considerevole aumento dell’attrazione di consumi femminili. Insomma, guardando all’esperienza dei paesi anglosassoni, di quelli del nord Europa, e della Francia in particolare, emerge che favorire l’immissione delle donne nel mercato, a tutti i livelli, provoca una serie di circoli virtuosi che generano più crescita e più benessere. Inoltre, secondo la “Womenomics” - cioè il recente orientamento strutturale delle società occidentali avanzate, come quella statunitense e nipponica, che promuove un’agenda di trasformazioni economiche, sociali e culturali per specifiche misure a favore del protagonismo femminile nell’economia, ai fini del conseguimento di alti livelli di sviluppo e prosperità dell’intera società - l’occupazione femminile fa bene alla crescita, rende le donne più soddisfatte e le famiglie più stabili. Ciò implica che, con lo sviluppo dei servizi alla persona e alla famiglia, anche il tasso di natalità aumenta, come dimostrano indagini empiriche condotte in società europee come la Francia. Ne consegue che l ’Italia, con il suo livello di disoccupazione femminile, soprattutto nel sud, è detentrice di un enorme serbatoio di sviluppo e, quindi, di un grande potenziale di crescita demografico ed economico, nonché sociale e culturale. Un partito che si definisce progressista e laico, non può che essere orientato alla modernità e a favorire tutte le dinamiche e i circuiti virtuosi per la crescita e lo sviluppo, oltre che a garantire e tutelare elementari principi di giustizia. E’ per questo motivo che il Partito Socialista Italiano, in questo Congresso, non può che prendere un impegno per la promozione di un “Piano nazionale per i servizi alla persona” che preveda una serie di misure volte ad abbattere definitivamente gli ostacoli strutturali alla crescita dell’occupazione femminile e al suo miglioramento, tramite l’eliminazione di qualsiasi “soffitto”. Il “Piano”così, risulterebbe non solo un valido strumento per la crescita economica di una Nazione dinamica, che non andrebbe più “a due velocità”, ma sarebbe altresì propedeutico all’altra “battaglia” che programmaticamente questo partito dovrebbe affrontare e porre tra le sue priorità: l’applicazione dell’art. 49 della Costituzione, ovvero la trasformazione dei partiti in organismi definitivamente democratici. L’attestazione di regole certe e chiare stabilite in statuti dovrebbe prevedere anche l’affermazione concreta della possibilità di partecipazione massiccia delle donne alla vita politica del Paese, che sarebbe un passo fondamentale per la costruzione di una cultura e di una politica realmente progressiva e avanzata. Senza interventi strutturali però questo non sarà possibile, a dispetto di qualsiasi dichiarazione di principio. Dunque, in tutti i settori della società – dall’economia alla politica – E’ TEMPO DI DONNE. I partiti socialisti europei lo sanno e contribuiscono a promuovere politiche volte alla loro affermazione; è fondamentale per la Nazione che questo congresso sancisca pubblicamente che anche il Partito Socialista Italiano ne è consapevole e che è la prima forza italiana che ne farà una parola d’ordine per la propria azione politica per il bene del Socialismo e dell’Italia. Se vogliamo far sentire la nostra voce al Congresso, sottoscriviamo

La lezione dell'Islanda

“Il Parlamento dell’Islanda ha votato all’unanimità il via libera alla legge che consente le unioni omosessuali, e lo ha fatto senza ricorrere a formule neutrali, ma scrivendo testualmente nel testo normativo le parole «fra uomo e uomo» e «fra donna e donna». Questo Paese, guidato da un capo di governo donna, Johanna Sigurdadottir, dichiaratamente lesbica, lancia al resto d’Europa e in particolare all’Italia un messaggio di grande civiltà e coraggio. Una lezione, per il nostro Paese, tanto forte, quanto lontana. L’Italia che sta regredendo drammaticamente sul piano culturale e del riconoscimento dei diritti civili, vecchi e nuovi, rifletta. I diritti del XXI Secolo non hanno sesso e non tollerano discriminazioni”.

Anna Falcone
Responsabile Pari Opportunità
Partito Socialista Italiano
In pensione a 65 anni, lo chiede l'Europa. Noi chiediamo gli stessi diritti delle altre donne europee

A partire dal 1 Gennaio 2012 anche in Italia le donne, nel settore pubblico, andranno in pensione a 65 anni come gli uomini. È quanto ha stabilito oggi il Consiglio dei Ministri, accogliendo le sollecitazioni europee in materia di parità di trattamento fra uomini e donne in campo pensionistico. Il Governo pare si sia dimenticato, però, che prima di pensare alle pensioni bisognerebbe parificare, coerentemente e finalmente, anche in Italia, le condizioni di lavoro, retributive e di carriera fra uomini e donne. Ma soprattutto bisognerebbe decidersi a garantire - anche nel “Bel Paese” - quei servizi sociali, di assistenza all’infanzia, alle famiglie, agli anziani, ai disabili e alle fasce più deboli che - già presenti e diffusi in molti altri Stati membri - sono stati all’origine dell’emancipazione di molte donne europee.
Queste “debolezze” gravano ancora, invece, e pesantemente, come “lavoro invisibile” sulle donne italiane, che sono il vero “ammortizzatore sociale” del Paese. Il furto di tempo, energie e risorse che ne deriva, è una delle prime cause della loro condizione di perdurante disuguaglianza nei settori strategici della partecipazione alla vita pubblica, politica, economica e sociale. Ancor di più è un furto di risorse per l’intera società italiana, che ancora oggi, e in un momento di grave crisi, pensa di poter andare avanti sacrificando molti dei suoi migliori talenti e professionalità: quasi il 50% della popolazione attiva, di cui la stragrande maggioranza è costituita da donne.
Ci volete europee? Volentieri, ne saremmo davvero felici! A condizione che si parta dai diritti, dalle politiche di uguaglianza e di inclusione sociale, politica ed economica, ovvero, dal riassetto in senso paritario dello Stato sociale. Questo significa per noi essere, finalmente, “cittadine europee”.
Il “Fondo Sociale dedicato alle donne”, chiesto e ottenuto dalla Ministra per le Pari Opportunità, è l’ennesima misura estemporanea, provvisoria e, pertanto, insufficiente e inadeguata a sopperire, nel nostro sistema, alla mancanza di politiche sociali strutturali di uguaglianza, in definitiva, di un vero Stato Sociale.
Ringraziamo, ma non è più tempo di “contentini”.

ANNA FALCONE
Responsabile Nazionale Pari Opportunità
Partito Socialista Italiano
Dall'Europa


18 Stati membri , "chiaramente a favore" della proposta spagnola dell'euroordine sulla protezione delle vittime della violenza domestica



"Questo è stato un Consiglio di giustizia storico", afferma il ministro della giustizia spagnolo Francisco Caamaño, "con questa misura, poniamo le donne vittime di violenza nel cuore dell'Europa".

video della conferenza stampa


commento ministra Uguaglianza

PIA LOCATELLI ALLA CONFERENZA DELLE DONNE SPD - Arbeitsgemeinschaft Sozialdemokratischer Frauen (ASF)



Pia Locatelli, presidente dell’IS donne, è a Bad Godesberg, per partecipare alla Conferenza annuale delle donne dell’Spd.
Nel corso del suo intervento, Pia Locatelli affronterà il tema della celebrazione dei cento anni dell’8 marzo, un iniziativa lanciata nel 1910 proprio dalle donne socialiste nella loro seconda conferenza internazionale che si tenne a Copenaghen e che venne fatta propria da tutti i movimenti delle donne del mondo.
Con l’occasione Pia Locatelli sosterrà la proposta della quinta conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulle donne che l’Is donne ha già lanciato a New York nel maggio scorso.

L'Italia è una Repubblica Democratica, fondata sul Lavoro

L’art. 1 comma 1 della Costituzione italiana così recita: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.
In occasione dell’anniversario del Referendum del 2 giugno 1946, mi chiedo come questo principio fondamentale della Carta sia percepito dagli italiani e se il suo valore semantico si sia modificato nel tempo.
Non voglio creare una sterile e, probabilmente, retorica polemica, ma questo articolo rappresenta la base della vita pubblica, ma anche privata di ciascun italiano. Troppo spesso, però, i cittadini stessi, forse perché convinti che quanto acquisito non possa ormai più andar perduto, sottovalutano l’enorme valore di queste parole. La democrazia certo nel nostro Paese è un caposaldo, ma sempre di più, purtroppo, vengono elegantemente glissate regole che ne costituiscono principi base.
Vado subito agli esempi per essere maggiormente compresa: quando in Parlamento, organo democratico per eccellenza, al fine di evitare dibattito e di permettere una reale opposizione, chi governa ricorre frequentemente alla fiducia, è inevitabile che il dibattimento democratico venga meno. Quando quello stesso Parlamento vota a favore di leggi che permettono a chi ci rappresenta di evitare di essere controllati, o sottoposti a processi, solo grazie alla carica ricoperta, la responsabilità che gli eletti hanno verso gli elettori viene meno, e dunque la
democrazia rappresentativa ne subisce un evidente danno a suo carico.
Lo stesso art. pone come fondamenta della Costituzione il Lavoro, come diritto di ciascun
cittadino, affermando in seguito che la Repubblica (art. 4 Cost.) promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Il lavoro rappresenta anche il dovere di partecipazione al progresso della società italiana. Lavoro: nobilissima parola, che dovrebbe consentire un’esistenza libera e dignitosa…
Come è difficile oggi ritrovarsi in queste parole. Come possono credere a questi principi inviolabili i tanti giovani disoccupati o precari? E come possono fidarsi dello Stato tutti quei cassaintegrati che non riescono più a vivere in maniera dignitosa insieme alle loro famiglie? Soprattutto oggi che, dopo mesi di iniezioni di ottimismo, siamo giunti alla dichiarazione ufficiale di crisi per cui si rende necessario “mettere a dieta lo Stato”. A sessantaquattro anni da quel Referendum, mi piacerebbe che l’intero popolo italiano rileggesse attentamente la nostra Costituzione, sia gli elettori che gli eletti, al fine di ricordare e di imprimere nella memoria quanto questa disciplina, partendo appunto dall’art. 1, che per intero, così recita: “L’ Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

Claudia Bastianelli
Resp. Pari Opportunità FGS