"QUESTE FAMIGLIE DEVONO METTERSI IN TESTA DI PAGARE I SERVIZI ESSENZIALI" ...MA NON E' COSI' !


di Daniela Mignogna

I familiari delle persone con disabilità ritengono ingiuste le richieste di moltiComuni che chiedono “sempre più soldi per l’accesso ai servizi essenziali”.
La questione  è inerente al fatto che i Comuni rispettino le leggi esistenti.
Il problema riguarda le richieste che i Comuni fanno ai cittadini in tema di “partecipazionealla spesa dei servizi”. In altre parole si tratta dei contributi che le amministrazionicomunali chiedono ai cittadini che utilizzano servizi di carattere sociale, come ad esempiogli asili nido, le mense scolastiche, il trasporto ecc. Soldi che dovrebbero essere richiestinon per tenere in equilibrio i bilanci comunali. ma per fare in modo che le risorse vadano avantaggio di chi si trova in situazione di maggiore difficoltà.
Per quanto riguarda le persone con disabilità si tratta soprattutto dei contributi richiesti achi usufruisce essenzialmente dei:
·        servizi di assistenza domiciliare,
·        servizi cosiddetti semiresidenziali, cioè quelli svolgono le loro attività di giornoquali i Centri Diurni Disabili, i Centri Socio Educativi e i Servizi di Formazione all’Autonomia.
·        servizi residenziali, ovvero quelle strutture di carattere comunitario dove le personecon disabilità possono abitare e vivere, al di fuori della propria famigli di origine,quali le Residenze Sanitario assistenziali per Disabili, le Comunità SocioSanitarie, Comunità Socio Assistenziali,  come altre di carattere sociale(Micro comunità, appartamenti protetti, Residenze integrate,…).
Che cosa succede quando una persona con disabilità richiede di accedere a uno di questi servizi? Una volta verificato che il servizio corrisponda alle caratteristiche della persona ela disponibilità di posti, l’Amministrazione Comunale definisce quanti soldi debbanoessere versati appunto come “partecipazione alla spesa dei servizi” e qui nascono spessodei problemi.
Alcuni esempi:
Annamaria è una ragazza con disabilità: ha poco più che 20 anni e vive con la mamma, che ha un redditodi 500 euro al mese. Il suo comune le chiede 375 euro al mese per frequentare il Servizio Formativo per l’Autonomia.
Valerio ha poco più di 40 anni: è un uomo con grave disabilità intellettiva che fino a poco tempo faviveva con i genitori che sono scomparsi da poco. I parenti hanno identificato, con il supporto deiservizi comunali, una Comunità alloggio dove si pensa possa vivere con soddisfazione. Al momentodell’inserimento è stabilita una quota di partecipazione alla spesa che viene indirizzata e fattasottoscrivere dai fratelli, in base ai loro redditi.
Lucia ha 60 anni, e una grave disabilità che non le ha impedito di vivere per lungo tempo da sola.Ora la situazione si è aggravata e ha bisogno di assistenza continuativa. A causa dell’età non puòpiù rivolgersi ai servizi per le persone con disabilità. Va quindi a vivere in una Residenza peranziani. Poiché ha un piccolo patrimonio personale il comune di residenza le impone di entrareprivatamente, pagando per intero la retta. Si farà carico delle sue necessità solo quando sarànullatenente.
In genere ogni amministrazione ha regole proprie, definite in un regolamento,l’ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente). Unmezzo che misura la ricchezza del nucleo familiare,  prendendo in considerazione sia iredditi,sia il patrimonio (conti correnti, titoli, case, ecc.). L’ISEE stabilisce un valore eogni Comune deve definire con proprio regolamento le fasce ISEE grazie alle qualistabilire l’entità del contributo. chestabilisce criteri oggettivi per stabilire le richieste in base ovviamente dal grado diricchezza della persona coinvolta: dal 1998 tutti i Comuni devono utilizzare comestrumento di valutazione
Il primo dato che emerge dalle segnalazioni delle persone con disabilità è che ancora oggi vi sono Comuni che non utilizzano l’ISEE come strumento divalutazione adottando altri criteri.
Un successivo decreto nel 2000 ha poi stabilito che per l’accesso ai servizi sociosanitari perle persone con grave disabilità si dovesse fare riferimento al solo ISEE individuale, cioèche non dovessero essere conteggiati i redditi e i patrimoni dei familiari.
Perché la legge accorda questo che può apparire come un “privilegio” alle persone condisabilità?
Nessun privilegio ma la semplice constatazione che la situazione di vita dei nucleifamiliari delle persone con disabilità sia particolare, rispetto al resto della popolazione.
Ancora oggi la dipendenza connessa alla situazione di grave disabilità s’indirizza e sisvolge all’interno della propria famiglia, Non si tratta solo di un fattore morale o di unadipendenza psicologica ma di un fatto oggettivo, con conseguenze rilevanti sulla vitamateriale della famiglia. Le persone con grave disabilità quasi sempre non lavorano e nonproducono reddito. Inoltre poiché il peso assistenziale ricade sulle spalle delle famigliequeste sono costrette a scelte radicali e permanenti quali ad esempio la rinuncia di uno deidue genitori (in genere la madre) alla professione o alla carriera. Bisogna anche tenereconto che le condizioni di “ordinaria discriminazione” vissute dalle persone con disabilitàfanno lievitare i costi ordinari connessi all’educazione di un figlio (trasporti, istruzione,tempo libero e sport) e si prolungano ben oltre la maggiore età, fino a duraresostanzialmente per gran parte dell’arco dell’esistenza dei genitori.
La legge che prevede che non debbano essere considerati i redditi e i patrimoni deifamiliari ha solo preso atto che questi si sono già fatti carico - e continueranno a farlo -di gran parte delle spese assistenziali connesse alla situazione di disabilità. In altreparole è sbagliato chiedere altri soldi ai familiari delle persone con disabilità, perchéquesti hanno “già dato” e continueranno a farlo per tutta la loro vita.
Per questo motivo le persone con disabilità, i loro familiari e le persone che condividono illoro impegno quotidiano vivono con crescente insofferenza e indignazionel’atteggiamento di molti amministratori e in alcuni casi di funzionari pubblici che ritengono –spesso con arroganza - che “queste famiglie debbano mettersi in testa di pagare” non solo perl’infondatezza dell’affermazione ma per la lontananza e in fondo l’indifferenza che essaesprime verso una condizione di vita – ancora oggi – difficile e impegnativa.
La situazione nelle regioni è molto varia e complessa e dipende – come già accennato –dalle scelte dei singoli comuni. E’ impossibile oggi offrire una fotografia dettagliata dellescelte, spesso molto diverse, compiute daicomuni che compongono la nostraregione.
Anche questo è considerato un fatto discriminatorio, perché è ingiusto che, a secondadel Comune di residenza, persone che vivono situazioni di disabilità e di condizionieconomiche equivalenti debbano far fronte a richieste di contribuzione molto diversefra di loro.
In questa frammentazione di interventi è importante innanzitutto sottolineare come un certo numero di amministrazionicomunali abbia scelto virtuosamente di fare proprio e applicare i contenuti deldecreto 130/2000 che ha appunto stabilito il criterio del riferimento al redditoindividuale. Una scelta che – per le informazioni verificabili– non hacausato alcun dissesto finanziario per le casse comunali coinvolte.
Un numero considerevole di comuni utilizza lo strumento ISEE ma non riconosce lavalidità del decreto 130/2000 e quindi lo applica all’intero nucleo familiare- Altre amministrazioni comunali pur applicando l’ISEE conteggiano tra i redditianche la pensione di invalidità e l’assegno di accompagnamento.
Altre ancora ampliano ad altri soggetti familiari il criterio di partecipazione allaspesa.
Riassumendo l’iter legislativo sulla materia va ricordato a tutti gli amministratori:
·        l’obbligatorietà per legge dell’utilizzo dello strumento dell’ISEE, con esplicitoriferimento al solo reddito della persona, in caso di situazione di grave disabilità
·        la sostanziale irregolarità delle richieste economiche ai familiari non conviventi,(spesso definiti impropriamente “obbligati per legge”) e del conteggio delleprovvidenze assistenziali tra i redditi della persona.
Le richieste di soldi per accedere ai servizi stanno diventando una delle cause di povertàdi molte famiglie e in alcuni casi la motivazione che spinge a rinunciare a utilizzareservizi essenziali per una decorosa qualità della vita.
Essere una persona con grave disabilità o un suo familiare non può più essere lamotivazione per subire situazioni di privazione.
Il disagio delle persone con disabilità non deve essere più considerato un fatto privatoincarico alle famiglie e a qualche organizzazione: è una situazione che riguarda l’insieme della collettività:  un problema sociale.
La Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilitàdefinisce la disabilità “risultato dell’interazione tra persone conmenomazioni e barriere comportamentali e ambientali, che impediscono la loro pienaed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri”.
Oggi le improprie e illegittime richieste di partecipazione alla spesa dei servizi a caricodelle famiglie delle persone con disabilità sono una di quelle “barriere ambientali” checoncorrono a impedire la piena affermazione dei diritti umani delle persone condisabilità.
Va quindi ribadito:
·        che si faccia sempre riferimento alla situazione reddituale e patrimonialeindividuale della persona con grave disabilità che frequenti i servizi socio-sanitari;
·        che si estenda – per analogia di bisogno e prestazione – il principio del riferimentoal reddito individuale all’insieme dei servizi socio-assistenziali
·        che nella determinazione dell’ISEE si faccia riferimento ai soli redditi e patrimoniescludendo ogni altra forma di beneficio economico
·        che l’applicazione dell’ISEE per la determinazione della partecipazione alla spesasalvaguardi quote di reddito e patrimoni, per garantire la qualità della vita dellapersona con disabilità
·        che si preveda sempre una progressività nella richiesta di partecipazione eun’ampia fascia di esenzione.

27 GENNAIO: MI RICORDO, MI VERGOGNO

di Claudia Bastianelli

Mi ricordo il mio ultimo anno di Liceo. 
Mi ricordo di un libro che narrava della morte di più di sei milioni di ebrei in Europa. 
Mi ricordo di tanti film che raccontano le atrocità nazifasciste, da Schindler’s List a La vita è bella, passando per Il Pianista o La Zona Grigia. 
Ho impressa nella mia mente la stella di Davide portata dagli ebrei come simbolo di riconoscimento e di discriminazione. 
Ricordo la scritta all’ingresso del campo di concentramento di Auschwitz: “Il lavoro rende liberi”. Ricordo tanti video, tanti racconti, tanti libri; tanti volti magri, tristi, rassegnati. La shoah è stata la più grande manifestazione dell’odio dell’uomo verso suoi simili. Mi sono sempre chiesta come si possano perpetrare crimini di quel livello verso altri uomini, innocenti e soli nella loro disperazione e non sono mai riuscita a trovare una risposta, non una giustificazione si intenda bene, ma almeno una risposta anche irrazionale a tutto ciò. Non esiste una risposta, non si può ricondurre tutto ad un pazzo furioso come Hitler, non si può riassumere tutto come orrore nazifascista, c’è di più. 
Quando donne-madri, uomini-padri, sono in grado di uccidere, violentare, picchiare, sfruttare tanti uomini solo perché diversi, solo perché ebrei piuttosto che testimoni di geova oppure omosessuali, non si può dare una risposta, non si può cercare un perché, non si può rinnegare. 
Al contrario ciò che si deve fare è ricordare, raccontare, rispettare tanto dolore, dare ascolto alle voci di chi ha vissuto tutto ciò, togliere l’audio a chi invece tenta ancora di rinnegare tutto. Il 27 gennaio è la giornata della memoria, vorrei che però si ricordassero tutte le vittime incolpevoli della pazzia umana, anche i milioni di uomini morti nei gulag sovietici, nelle foibe in Istria, e di tutti quei malati di onnipotenza che ritengono ancora di poter decidere sulla vita altrui considerandola inferiore, inutile, dannosa. 
Sono sempre stata appassionata a questa pagina di storia e mi auguro che nessuno mai dimentichi, mai. Primo Levi fu autore di un capolavoro come “Se questo è un uomo”, ed ha ragione non può essere un uomo ad odiare così tanto altri uomini, solo la peggiore delle bestie può arrivare a tanto. 
Ha ragione Primo Levi, se questo è un uomo mi vergogno di far parte del genere umano.

Daniela Mignogna - Il welfare pesa sempre più su famiglie e volontariato

Di fronte a un welfare sempre più povero, le strategie individuali e familiari si trovano schiacciate sul fronte sempre più esplicito della delega totale alla famiglia: nel mirino finiscono soprattutto le situazioni più gravi legate alla disabilità e alla non autosufficienza su cui ormai vige il principio assoluto del fai-da-te.
In tal senso l’esempio del ricorso alla badante è emblematico: si tratta della soluzione a cui tutte le famiglie pensano praticamente in automatico nel momento in cui sono chiamate a far fronte alle situazioni più complesse di perdita della autosufficienza di un familiare; inoltre, tutte le indagini più recenti dimostrano che, nonostante gli interventi di molte Regioni in materia di formazione e strutturazione della rete di assistenza informale, nella stragrande maggioranza dei casi il reperimento della badante, e dunque anche le sue competenze professionali, rimangono affidate al passaparola informale.
Senza dimenticare un particolare non di poco conto: in almeno 8 casi su 10 a pagare è lo stesso malato o la famiglia. Insomma l’arretramento delle politiche sociali ha determinato, come emerge dal rapporto Censis 2010 sulla situazione sociale del Paese, “in non pochi casi una situazione di vera e propria solitudine delle famiglie con problemi, rispetto alla quale anche l’azione del volontariato ritorna a essere l’unica risposta presente soprattutto in certe situazioni e in certe zone del Paese”  “Il problema è che il ruolo di supplenza che di fatto, oltre alle famiglie, viene svolto dal volontariato, dal non profit e dall’associazionismo, rispetto ai tanti bisogni non coperti, rischia di non bastare più, vista la dinamica crescente del disagio sociale, accelerata anche dalla crisi”.
I tre settori in cui i cittadini registrano una maggiore presenza di volontari sono: ospedali, case di cura, strutture sanitarie in generale (69%). E poi: case di riposo, comunità alloggio, presidi socio-assistenziali di vario tipo (54,3%) e infine le varie forme di assistenza a domicilio per anziani e non autosufficienti (39,9 per cento).

Accanto ad un grande uomo c'è sempre una grande donna

di Claudia Bastianelli   resp. pari opportunità Federazione Giovani Socialisti

Nella storia, da sempre, i grandi uomini politici e statisti hanno avuto accanto donne dal profondo carisma, tanto da permettere la coniazione  della celebre frase: “accanto ad un grande uomo c’è sempre una grande donna”. 
E’ altrettanto vero che spesso oltre alla compagna ufficiale, sono divenute note anche le amanti che questi uomini di potere erano soliti frequentare. Si tratta di una lista piuttosto lunga e dalle molteplici sfaccettature, tanto da indurre il giornalista Bruno Vespa a scrivere un libro proprio dedicato al rapporto stretto che esiste tra amore e potere. 
In realtà, però, mai nella sua storia contemporanea l’Italia si è trovata di fronte uno scandalo come quello che coinvolge il Premier Berlusconi in questi giorni. 
Ho sempre ritenuto che, nonostante si tratti di una carica pubblica, chiunque nel proprio privato abbia il diritto di fare ciò che ritiene, e quando ciò è riconducibile a qualche rapporto extraconiugale, il problema morale deve essere soprattutto nei confronti della propria compagna, prima che nei confronti del Paese. 
Altra storia è quella che in questi giorni sta riempiendo le pagine dei nostri giornali, riducendo anche i maggiori quotidiani ad una sorta di giornaletti di gossip da quattro soldi. Qui il problema non è solo morale, ma anche e soprattutto civile e legale. 
Le intercettazioni fanno emergere un quadro a dir poco squallido, dove un uomo di 74 anni, Capo del Governo Italiano, ha realizzato festini presso la sua residenza a cui erano invitate a partecipare ragazze anche minorenni il cui unico requisito richiesto era quello di essere disposte a “fare tutto”, ovviamente dietro laute ricompense. Se questi fatti si fossero verificati a casa di un qualunque cittadino italiano, nel momento in cui si fossero scoperti, quel cittadino sarebbe accusato sia dalla magistratura che dall’opinione pubblica, di essere uno sfruttatore della prostituzione, anche minorile. 
Nel momento in cui ad essere oggetto del fatto è Silvio Berlusconi, c’è una parte d’Italia, quella più bigotta e più moralista, che continua imperterrita nella sua difesa e nella negazione dell’evidenza. Oltre a ciò, il Presidente anziché vergognarsi delle notizie che stanno trapelando, anziché chiedere scusa al Paese e fare magari un atto di responsabilità dichiarando le sue dimissioni, afferma che si sta divertendo e che non ha la minima intenzione di lasciare la Presidenza del Consiglio. 
Sono mesi ormai che va avanti questa storia, ed ora che i magistrati di Milano hanno aperto l’inchiesta non esiste altro argomento se non le donne del Presidente, giovani anzi giovanissime. Tante sono le foto che appaiono sui giornali e telegiornali, si tratta di foto di bellissime ragazze dall’apparenza non molto ingenue, e non se ne può più. 
Presidente la prego dia queste dimissioni e lasci in pace gli italiani: basta con le prostitute sbattute in prima pagina, basta con le igeniste dentali che in tre mesi diventano consiglieri regionali, basta con le donne oggetto di cui si vanta, basta con l’ostentazione del sesso nei posti di potere. 
Non è una novità che il Presidente non sia un grande uomo, non ci si può stupire della bassezza delle donne di cui si circonda.

Congedi parentali

di Rita Cinti Luciani  responsabile pari opportunità PSI
Ad Aprile in Gran Bretagna entrerà in vigore il piano che prevede 10 mesi di congedo parentale a scelta tra mamma o papà con retribuzione al 90% nelle prime sei settimane e poi a scalare fino al decimo mese.
Una scelta importante per il Governo Inglese che fissa il principio di mettere madre e padre lavoratori sullo stesso piano di responsabilità. In Italia i neo papà hanno diritto a 6 mesi di congedo fino ai tre anni del bimbo/a con il 30% dello stipendio e successivamente fino agli 8 a stipendio zero. I
l Parlamento Europeo, ha approvato nell’autunno scorso una proposta che prevede un congedo di 2 settimane al 100% della retribuzione.
La necessità di intervenire con una legislazione che aiuti la famiglia anche da questo punto di vista è importante, avere dei figli e poter condividere il concetto di responsabilità educativa senza essere penalizzati sul lavoro è senza dubbio  un obiettivo che una politica attenta dovrebbe avere tra le proprie priorità. 
Pari diritti e doveri e pari opportunità per i genitori in modo da modificare approcci culturali e modelli educativi superati. Occorre un governo davvero attento alla famiglia e alla promozione del concetto di responsabilità sociale delle imprese, attento nel fornire un sistema di servizi che consenta ai giovani di poter serenamente decidere di diventare genitori, così come avviene in tanti altri Paesi Europei. Ma questo per il nostro governo è “un’altra storia”.

Lettera alle donne del Consiglio Nazionale

Care Compagne,

mi è stato affidato recentemente il ruolo di responsabile del Dipartimento Pari Opportunità e vorrei condividere con voi qualche riflessione politica.

Il 2010 si è da poco concluso e il nostro Paese sta vivendo ancora una difficilissima fase sia dal punto di vista politico che socio-economico. E’ un Paese con un Governo che continua a “navigare a vista”, con numerose lacerazioni interne ,incurante del fatto che ogni giorno migliaia di famiglie vivono gli effetti della cassaintegrazione o della perdita del posto di lavoro; incurante del fatto che in Italia i giovani non solo hanno minori aspettative rispetto ai genitori, ma spesso neppure la speranza di un futuro.
E’ stato un anno “faticoso” per le tante amministratrici e amministratori socialisti che hanno lavorato con impegno, serietà e rigore, ma non hanno potuto dare risposte certe a quelle madri e padri che chiedevano un posto di lavoro: uno dei diritti fondamentali della nostra Costituzione.
Per questo è necessario ridare ruolo alla politica seriache riporti l’attenzione  sulla centralità della persona, della famiglia, del lavoro e quell’insieme di diritti e servizi che una società avanzata deve avere.
Il lavoro rappresenta senza dubbio una priorità. Lo ha ampiamente dimostrato la vicenda Fiat di questi giorni, vicenda nella quale ancora una volta il Governo e il suo Presidente hanno brillato per il disimpegno.
Berlusconi e Tremonti non possono certo continuare a pensare che la crisi si risolve continuando a tagliare risorse agli Enti Locali, allo stato sociale, alla scuola, alla cultura(-80%) togliendo sempre a chi ha meno e lasciando inalterati gli sprechi e i privilegi!
Il Paese è in una fase di stallo, le restrizioni e i vincoli burocratici dettati da un nuovo centralismo non consentono di invertire la rotta e ripartire con una nuova fase di crescita. Occorre mettere in campo una rinnovata politica economica che stabilisca nuovi rapporti con il sistema industriale e le forze sindacali, che consenta alle piccole imprese di trasformarsi e creare occupazione, una politica che non rinunci ai diritti ma tenga conto della competizione di molti altri Paesi.
In realtà questo è il risultato del Federalismo della Lega!
Allora occorre un impegno straordinario anche da parte nostra per rilanciare un progetto concreto e credibile. Semplificazione fiscale e lotta all’evasione vera, così come avviene nel resto d’Europa e negli Stati Uniti, riforma del lavoro in senso riformista, investire in istruzione e ricerca per aiutare il sistema produttivo a reggere la concorrenza e creare una classe dirigente preparata e seria, riduzione del divario Nord-Sud.
Insomma compagne, se vogliamo far risentire la nostra voce, ci aspetta un lavoro intenso e ancora, occorre alle prossime elezioni amministrative, lavorare per rafforzare la presenza delle donne socialiste nelle pubbliche amministrazioni.
Le donne rappresentano una risorsa per competenze e professionalità e sovente sono anche una buona risposta alla sfiducia e distacco dei cittadini nei confronti della politica.
La concretezza delle donne non è utopia ma una realtà che offre anche in termini di risultati elettorali grandi soddisfazioni. Non parliamo di mera rappresentanza di genere, che pure importante, ma dell’esercizio di un diritto costituzionale, quello di poter essere candidate di poter “correre”, farsi eleggere e rappresentare le donne e gli uomini nelle diverse realtà del Paese.
E’ necessario poter partecipare alla vita politica da condizioni di parità, anche se è un percorso lungo e faticoso. Solo così si potrà creare quella democrazia paritaria compiuta che in altri Paesi Europei esiste già.
Le prossime amministrative sono alle porte, per questo Vi chiedo uno sforzo nel promuovere iniziative in questa direzione, rafforzare la rete di relazioni a livello territoriale ed essere presenti nei” luoghi della politica.”
Dal punto di vista organizzativo su mandato del Segretario stiamo raccogliendo i dati delle amministratrici in modo da rafforzare le informazioni e creare un monitoraggio aggiornato della presenza delle donne nelle amministrazioni, oltre che promuovere iniziative su temi specifici.
Per questa ragione Vi chiedo collaborazione, perché solo lavorando insieme, potremo crescere e rendere un servizio al Paese oltre che al Partito. Sono a disposizione, un abbraccio.

Rita Cinti Luciani

C'è chi dice che siamo una generazione di scansafatiche


Disoccupazione giovanile

Disoccupazione giovanile al 28,9%. Un giovane su tre non ha lavoro. In un qualunque Paese civilizzato questo dato verrebbe visto in maniera bipartisan come un dato allarmante e pericoloso, in Italia no. Subito dopo l’epifania vengono resi noti i valori ISTAT riguardanti la disoccupazione giovanile in Italia. Le reazioni ed i toni con cui si affronta questo tema sono piuttosto variegate. Salta immediatamente all’occhio la dichiarazione del ministro del welfare, l’ex socialista Sacconi, che rinnega le sue origini ed afferma che i giovani devono imparare ad accettare qualunque tipo di lavoro gli venga proposto, indipendentemente dal titolo di studio e dalle esperienze svolte.
Ancor più pesante è la proposta avanzata da Mario Giordano in un articolo pubblicato martedì 11 da “Il Giornale”, testualmente scrive: “Iniziamo a prendere i giovani a calci in culo, è l’unico modo per dare una scrollata ad una generazione di smidollati”.
In primo luogo mi complimento con Giordano il quale in poche righe è riuscito a riassumere una quantità di offese verso i giovani difficile da dimenticare. Ora la questione è questa: posto che molti giovani effettivamente finchè non si trovano a sbattere la testa contro il mondo del lavoro non si rendono conto effettivamente di quanto sia difficile la vita, mi chiedo con quale coraggio ci siano persone che ancora si permettano di fingere che la situazione occupazionale dei giovani italiani sia solo da imputare ad una svogliatezza nel cercare lavoro e ad una incapacità di accontentarsi delle possibilità (poche per la verità) che vengono proposte.
Questi uomini così autorevoli, che si sentono autorizzati a parlare di alibi dei giovani anziché di reale deficit occupazionale, lo fanno forse perché consapevoli che la generazione che ci ha preceduto è per la maggior parte causa primaria di tale sconfitta del sistema? Di chi è la responsabilità se la maggior parte dei ragazzi ritiene che per trovare lavoro sia più incisiva la conoscenza personale piuttosto che il curriculum? Chi ha portato l’Italia ad essere il Paese in cui è meglio non andare in pensione perché molto più conveniente dal punto di vista economico? Chi ha applicato la Legge Biagi solo in parte, evitando di incentivare la flessibilità eliminando la precarietà? Chi ha permesso a moltissime aziende di assumere personale a partita Iva, impiegandolo poi come vero e proprio dipendente, evitando così di assumersi oneri supplementari come i versamenti previdenziali, quelli per la sicurezza e, in caso di donne, per la maternità? Chi può permettersi di dire ad un giovane e alla sua famiglia che dopo tanti sacrifici non deve avere almeno l’aspirazione di occuparsi nel settore per cui ha studiato? C’è bisogno di ricordare a questi signori che sono stati loro gli autori di un sistema previdenziale che ha permesso a più generazioni di avere pensioni ricche ed in giovani età, mentre io ed i miei coetanei se saremo fortunati potremo aspirare al massimo ad un 45-50% dell’ultima retribuzione? E’ vero i nostri genitori hanno fatto molto per costruire l’Italia del G8, ma dopo averla costruita per il loro benessere non hanno pensato a lasciarcela in condizioni dignitose. Finchè ci saranno i genitori va bene, ma poi come si reggerà l’economia se un giovane disoccupato o precario non può prendere finanziamenti o mutui per comprare un’auto, una casa, costruirsi una famiglia? Forse a tutto ciò i vari Sacconi o Giordano non hanno pensato. Come tutte le cose bisogna viverle sulla propria pelle per comprenderle appieno. Solo una considerazione: con tutto il rispetto, ma tra la mia e la vostra davvero mi chiedo quale sia la generazione di fenomeni.

Claudia Bastianelli

Ore di sostegno inadeguate: è discriminazione

di Daniela Mignogna

Lo stabilisce una sentenza del Tribunale Ordinario di Milano, che accoglie il ricorso presentato dai genitori di 17 studenti e da LEDHA, in collaborazione con LEDHA Milano, contro il ministero dell’Istruzione, l’Ufficio scolastico regionale e quello provinciale. Motivo: la riduzione delle ore di sostegno, ridotte fino al 50% dall’ultima Finanziaria. Il ministero di Mariastella Gelmini condannato per discriminazione nei confronti di studenti con disabilità.
Una vittoria di rilevanza nazionale.
La condanna del tribunale Civile arriva dopo un ricorso presentato il novembre scorso da 17 genitori Il ricorso è stato presentato in giudizio e al  di là del risultato (che già più volte i Tar di tutta Italia avevano garantito) si tratta di un provvedimento storico. Per la prima volta in Italia un Tribunale ha ritenuto che l'inadeguata ed insufficiente assegnazione delle ore di sostegno costituisce una vera e propria discriminazione a danno degli alunni con disabilità e non solo una lesione del diritto allo studio e all'inclusione scolastica. Si tratta di una vittoria totale che rappresenta una svolta nella tutela dei diritti degli alunni con disabilità".
Il giudice  del Tribunale Civile di Milano, ha accertato la natura discriminatoria della decisione delle amministrazioni scolastiche rispetto ai tagli delle cattedre e delle ore di sostegno previste per 17 alunni.
Per scardinare le inadempienze dell'Ufficio Scolastico Regionale e dell'Ufficio Scolastico Provinciale di Milano si fa riferimento ad una legge dello Stato, la legge 67 del 2006, che stabilisce che "le persone con disabilità non possono essere discriminate rispetto ai diritti fondamentali". Tra questi, ovviamente, il diritto all'istruzione.
I genitori hanno fatto "rete" usando gli strumenti legali a disposizione per far fronte alle ore di insegnamento di sostegno quasi dimezzate.
Come si può leggere nel provvedimento il giudice dopo aver accertato "la natura discriminatoria della decisione delle amministrazioni scolastiche di ridurre le ore di sostegno scolastico per l'anno in corso rispetto a quelle fornite nell'anno scolastico precedente (2009/2010)" ordina alle amministrazioni convenute "la cessazione della condotta discriminatoria e condanna i convenuti, ciascuno per le rispettive competenze, a ripristinare, entro trenta giorni dalla comunicazione della presente ordinanza, per i figli dei ricorrenti il medesimo numero di ore di sostegno fornito loro nell'anno scolastico 2009/2010".
Un ruolo non indifferente nella decisione del Tribunale è stato giocato dal riferimento ai principi e ai valori sanciti dalla Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità, ratificata dal Parlamento italiano il 24 febbraio 2009, che comincia perciò ad essere un riferimento normativo imprescindibile.
L'importanza di questo risultato va oltre il contenuto del ricorso ed è un primo segnale forte della ratifica della Convenzione ONU e il riconoscimento del principio di non discriminazione contenuto in essa. Per la prima volta in Italia, in materia di inclusione scolastica, viene utilizzata la legge 67, che sancisce la possibilità per le persone con disabilità e familiari di presentare direttamente ricorso congiunto con le associazioni. Ciò costituisce un fattore di straordinaria importanza senza precedenti.


Formigoni e la 194

E’ di qualche giorno fa, la notizia che il Tar della Lombardia ha riconfermato che la legge 194 ha un contenuto costituzionalmente vincolato ed è illogico che su un tema così delicato ci possano essere nel Paese regole diverse da regione a regione.
Questo pronunciamento nasce a seguito dell’iniziativa del Presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, che nel 2008 ha approvato le linee guida di attuazione della 194, per restringere il campo di applicazione della stessa e per esportare il “modello” in altre regioni italiane.
Il ricorso promosso da 8 medici lombardi riguardava i tempi per ricorrere all’interruzione di gravidanza e quindi come si diceva sopra, una discordanza con le norme nazionali.
E’ importante che sulla 194, nel Paese vengano ribadite le stesse regole e soprattutto si prosegua con iniziative legate all’informazione, prevenzione e tutela della salute delle donne.

Rita Cinti Luciani - responsabile nazionale pari opportunità