"QUESTE FAMIGLIE DEVONO METTERSI IN TESTA DI PAGARE I SERVIZI ESSENZIALI" ...MA NON E' COSI' !


di Daniela Mignogna

I familiari delle persone con disabilità ritengono ingiuste le richieste di moltiComuni che chiedono “sempre più soldi per l’accesso ai servizi essenziali”.
La questione  è inerente al fatto che i Comuni rispettino le leggi esistenti.
Il problema riguarda le richieste che i Comuni fanno ai cittadini in tema di “partecipazionealla spesa dei servizi”. In altre parole si tratta dei contributi che le amministrazionicomunali chiedono ai cittadini che utilizzano servizi di carattere sociale, come ad esempiogli asili nido, le mense scolastiche, il trasporto ecc. Soldi che dovrebbero essere richiestinon per tenere in equilibrio i bilanci comunali. ma per fare in modo che le risorse vadano avantaggio di chi si trova in situazione di maggiore difficoltà.
Per quanto riguarda le persone con disabilità si tratta soprattutto dei contributi richiesti achi usufruisce essenzialmente dei:
·        servizi di assistenza domiciliare,
·        servizi cosiddetti semiresidenziali, cioè quelli svolgono le loro attività di giornoquali i Centri Diurni Disabili, i Centri Socio Educativi e i Servizi di Formazione all’Autonomia.
·        servizi residenziali, ovvero quelle strutture di carattere comunitario dove le personecon disabilità possono abitare e vivere, al di fuori della propria famigli di origine,quali le Residenze Sanitario assistenziali per Disabili, le Comunità SocioSanitarie, Comunità Socio Assistenziali,  come altre di carattere sociale(Micro comunità, appartamenti protetti, Residenze integrate,…).
Che cosa succede quando una persona con disabilità richiede di accedere a uno di questi servizi? Una volta verificato che il servizio corrisponda alle caratteristiche della persona ela disponibilità di posti, l’Amministrazione Comunale definisce quanti soldi debbanoessere versati appunto come “partecipazione alla spesa dei servizi” e qui nascono spessodei problemi.
Alcuni esempi:
Annamaria è una ragazza con disabilità: ha poco più che 20 anni e vive con la mamma, che ha un redditodi 500 euro al mese. Il suo comune le chiede 375 euro al mese per frequentare il Servizio Formativo per l’Autonomia.
Valerio ha poco più di 40 anni: è un uomo con grave disabilità intellettiva che fino a poco tempo faviveva con i genitori che sono scomparsi da poco. I parenti hanno identificato, con il supporto deiservizi comunali, una Comunità alloggio dove si pensa possa vivere con soddisfazione. Al momentodell’inserimento è stabilita una quota di partecipazione alla spesa che viene indirizzata e fattasottoscrivere dai fratelli, in base ai loro redditi.
Lucia ha 60 anni, e una grave disabilità che non le ha impedito di vivere per lungo tempo da sola.Ora la situazione si è aggravata e ha bisogno di assistenza continuativa. A causa dell’età non puòpiù rivolgersi ai servizi per le persone con disabilità. Va quindi a vivere in una Residenza peranziani. Poiché ha un piccolo patrimonio personale il comune di residenza le impone di entrareprivatamente, pagando per intero la retta. Si farà carico delle sue necessità solo quando sarànullatenente.
In genere ogni amministrazione ha regole proprie, definite in un regolamento,l’ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente). Unmezzo che misura la ricchezza del nucleo familiare,  prendendo in considerazione sia iredditi,sia il patrimonio (conti correnti, titoli, case, ecc.). L’ISEE stabilisce un valore eogni Comune deve definire con proprio regolamento le fasce ISEE grazie alle qualistabilire l’entità del contributo. chestabilisce criteri oggettivi per stabilire le richieste in base ovviamente dal grado diricchezza della persona coinvolta: dal 1998 tutti i Comuni devono utilizzare comestrumento di valutazione
Il primo dato che emerge dalle segnalazioni delle persone con disabilità è che ancora oggi vi sono Comuni che non utilizzano l’ISEE come strumento divalutazione adottando altri criteri.
Un successivo decreto nel 2000 ha poi stabilito che per l’accesso ai servizi sociosanitari perle persone con grave disabilità si dovesse fare riferimento al solo ISEE individuale, cioèche non dovessero essere conteggiati i redditi e i patrimoni dei familiari.
Perché la legge accorda questo che può apparire come un “privilegio” alle persone condisabilità?
Nessun privilegio ma la semplice constatazione che la situazione di vita dei nucleifamiliari delle persone con disabilità sia particolare, rispetto al resto della popolazione.
Ancora oggi la dipendenza connessa alla situazione di grave disabilità s’indirizza e sisvolge all’interno della propria famiglia, Non si tratta solo di un fattore morale o di unadipendenza psicologica ma di un fatto oggettivo, con conseguenze rilevanti sulla vitamateriale della famiglia. Le persone con grave disabilità quasi sempre non lavorano e nonproducono reddito. Inoltre poiché il peso assistenziale ricade sulle spalle delle famigliequeste sono costrette a scelte radicali e permanenti quali ad esempio la rinuncia di uno deidue genitori (in genere la madre) alla professione o alla carriera. Bisogna anche tenereconto che le condizioni di “ordinaria discriminazione” vissute dalle persone con disabilitàfanno lievitare i costi ordinari connessi all’educazione di un figlio (trasporti, istruzione,tempo libero e sport) e si prolungano ben oltre la maggiore età, fino a duraresostanzialmente per gran parte dell’arco dell’esistenza dei genitori.
La legge che prevede che non debbano essere considerati i redditi e i patrimoni deifamiliari ha solo preso atto che questi si sono già fatti carico - e continueranno a farlo -di gran parte delle spese assistenziali connesse alla situazione di disabilità. In altreparole è sbagliato chiedere altri soldi ai familiari delle persone con disabilità, perchéquesti hanno “già dato” e continueranno a farlo per tutta la loro vita.
Per questo motivo le persone con disabilità, i loro familiari e le persone che condividono illoro impegno quotidiano vivono con crescente insofferenza e indignazionel’atteggiamento di molti amministratori e in alcuni casi di funzionari pubblici che ritengono –spesso con arroganza - che “queste famiglie debbano mettersi in testa di pagare” non solo perl’infondatezza dell’affermazione ma per la lontananza e in fondo l’indifferenza che essaesprime verso una condizione di vita – ancora oggi – difficile e impegnativa.
La situazione nelle regioni è molto varia e complessa e dipende – come già accennato –dalle scelte dei singoli comuni. E’ impossibile oggi offrire una fotografia dettagliata dellescelte, spesso molto diverse, compiute daicomuni che compongono la nostraregione.
Anche questo è considerato un fatto discriminatorio, perché è ingiusto che, a secondadel Comune di residenza, persone che vivono situazioni di disabilità e di condizionieconomiche equivalenti debbano far fronte a richieste di contribuzione molto diversefra di loro.
In questa frammentazione di interventi è importante innanzitutto sottolineare come un certo numero di amministrazionicomunali abbia scelto virtuosamente di fare proprio e applicare i contenuti deldecreto 130/2000 che ha appunto stabilito il criterio del riferimento al redditoindividuale. Una scelta che – per le informazioni verificabili– non hacausato alcun dissesto finanziario per le casse comunali coinvolte.
Un numero considerevole di comuni utilizza lo strumento ISEE ma non riconosce lavalidità del decreto 130/2000 e quindi lo applica all’intero nucleo familiare- Altre amministrazioni comunali pur applicando l’ISEE conteggiano tra i redditianche la pensione di invalidità e l’assegno di accompagnamento.
Altre ancora ampliano ad altri soggetti familiari il criterio di partecipazione allaspesa.
Riassumendo l’iter legislativo sulla materia va ricordato a tutti gli amministratori:
·        l’obbligatorietà per legge dell’utilizzo dello strumento dell’ISEE, con esplicitoriferimento al solo reddito della persona, in caso di situazione di grave disabilità
·        la sostanziale irregolarità delle richieste economiche ai familiari non conviventi,(spesso definiti impropriamente “obbligati per legge”) e del conteggio delleprovvidenze assistenziali tra i redditi della persona.
Le richieste di soldi per accedere ai servizi stanno diventando una delle cause di povertàdi molte famiglie e in alcuni casi la motivazione che spinge a rinunciare a utilizzareservizi essenziali per una decorosa qualità della vita.
Essere una persona con grave disabilità o un suo familiare non può più essere lamotivazione per subire situazioni di privazione.
Il disagio delle persone con disabilità non deve essere più considerato un fatto privatoincarico alle famiglie e a qualche organizzazione: è una situazione che riguarda l’insieme della collettività:  un problema sociale.
La Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilitàdefinisce la disabilità “risultato dell’interazione tra persone conmenomazioni e barriere comportamentali e ambientali, che impediscono la loro pienaed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri”.
Oggi le improprie e illegittime richieste di partecipazione alla spesa dei servizi a caricodelle famiglie delle persone con disabilità sono una di quelle “barriere ambientali” checoncorrono a impedire la piena affermazione dei diritti umani delle persone condisabilità.
Va quindi ribadito:
·        che si faccia sempre riferimento alla situazione reddituale e patrimonialeindividuale della persona con grave disabilità che frequenti i servizi socio-sanitari;
·        che si estenda – per analogia di bisogno e prestazione – il principio del riferimentoal reddito individuale all’insieme dei servizi socio-assistenziali
·        che nella determinazione dell’ISEE si faccia riferimento ai soli redditi e patrimoniescludendo ogni altra forma di beneficio economico
·        che l’applicazione dell’ISEE per la determinazione della partecipazione alla spesasalvaguardi quote di reddito e patrimoni, per garantire la qualità della vita dellapersona con disabilità
·        che si preveda sempre una progressività nella richiesta di partecipazione eun’ampia fascia di esenzione.

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