Donne in parlamento, l'Italia come il Marocco


di Pia Locatelli
Presidente Internazionale Socialista Donne

Gli effetti positivi della Primavera Araba pare abbiano sfiorato anche la penisola che riunisce i Paesi più arretrati, dove l’esclusione delle donne dalla vita pubblica, in tutti i suoi aspetti, tocca estremi difficili da riscontrare in altre realtà del mondo.
Yemen, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Kuwait, Arabia Saudita occupano gli ultimi posti nella graduatoria mondiale della presenza delle donne nelle istituzioni e negli indici di sviluppo umano, confermando quanto l’ONU va ripetendo da alcuni anni: senza le donne le società non progrediscono.
Sorprendentemente ora in questa penisola del Medio Oriente, forse grazie al contagio della Primavera Araba, qualcosa si muove: persino in Arabia Saudita, il baluardo del divieto assoluto per le donne di occupare posti istituzionali, perché private del diritto di voto, ci sono timidi segnali di apertura. C’è spazio per qualche speranza? Difficile fare previsioni e soprattutto difficile parlare di libertà e di diritti per tutti, donne e uomini.
Per la verità i primi segnali di apertura risalgono a quasi quarant’anni fa, quando lo Yemen del Sud concesse alle donne il diritto di voto. Purtroppo i decenni scorsi sono stati piuttosto inutili per la causa femminile delle Yemenite. Nello Yemen unificato di oggi solo lo 0,5% dei posti nelle istituzioni, sia locali sia nazionali, vede presenze femminili, ad indicare che non sempre “l’anzianità delle conquiste” va di pari passo con l’avanzamento  delle stesse. Non sempre la contiguità geografica aiuta, infatti ci sono voluti alcuni decenni perché l’esempio dello Yemen venisse seguito dal Qatar nel 1999, dal Bahrein nel 2002, dal Kuwait nel 2005 ... e infine, in questi giorni, dall’Arabia Saudita. Il tabù è caduto, certamente, ma questo non basta per garantire un percorso senza ostacoli verso la parità.
Il dibattito attorno alle concessioni fatte dal Re dell’Arabia Saudita davanti alla  Shura, il Consiglio solo consultivo i cui membri sono scelti dallo stesso sovrano, è stato acceso ed ha visto le donne del mondo divise nel giudizio. Elettorato attivo e passivo nelle prossime elezioni municipali che si terranno tra quattro anni e possibilità per il Re di scegliere nomi femminili per la composizione della Shura nel 2013. Per la verità sono passi avanti così limitati da rendere difficile esprimere un qualche apprezzamento. Credo però che la caduta di un tabù vada sempre considerata positivamente, specialmente se è la conseguenza di azioni di “pioniere”.
Il riferimento è alla campagna lanciata da un gruppo di donne dell’Arabia Saudita, una piccola élite del Paese, per opporsi al divieto di guida voluto dalle autorità religiose. L’appuntamento per la sfida, raccolta da qualche decina di coraggiose, è stato lo scorso 17 giugno. Pare che la giornata abbia lasciato il segno. C’è infatti una relazione tra la campagna contro il divieto e le concessioni reali, essendo la prima l’embrione di una campagna più larga per la richiesta di diritti a favore delle donne.
L’esperienza del mondo ci insegna che il percorso delle donne verso la parità è accidentato, variegato, mai nulla è conquistato con facilità e una volta per sempre. L’Italia del berlusconismo ne è la conferma.
In questi giorni si è svolta a Rabat, Marocco, una riunione regionale dell’Internazionale Socialista Donne per discutere del contributo femminile alla costruzione della democrazia nei Paesi toccati dalla Primavera Araba. Il Marocco ha risposto alle prime manifestazioni di protesta con una riforma costituzionale che prevede la riduzione dei poteri del Re e l’ampliamento di quelli del Parlamento e del Primo Ministro; l’indipendenza del sistema giudiziario e il riconoscimento della lingua berbera come lingua ufficiale insieme all’arabo; la costituzionalizzazione del principio di uguaglianza tra uomini e donne.

Il principio paritario ha trovato espressione nella legge elettorale che prevede una lista nazionale di novanta seggi destinati esclusivamente alle donne (due terzi) e alla gioventù (un terzo). Non è molto se pensiamo che nell’insieme la lista rappresenta il 20% dei seggi; è però un punto da cui partire per costruire percentuali più alte attraverso presenze femminili nelle liste delle circoscrizioni locali. Alcune organizzazioni femminili ed esponenti di partito hanno suggerito il voto contrario alla legge perché ritenuta insufficiente. Mi è stato chiesto un parere ed ho raccontato quanto è avvenuto nel Parlamento italiano dove nel 2006 la coalizione di centrosinistra all’opposizione ha bocciato la quota del 25% perché ritenuta inadeguata, dando così una mano ai franchi tiratori del centrodestra. La legge non è passata. In questa legislatura le parlamentari raggiungono a malapena il 20%.
Mi chiedo ancora oggi chi sia stato sconfitto da quel voto, se il centrodestra o le donne. 
La risposta è aperta, ma io avrei votato la legge.

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