Pia Locatelli - La differenza la fanno le donne


Non è solo una questione di principio, ma di convenienza prevedere le ‘quote rosa’ anche nei CdA



Ha suscitato grande stupore, se non scandalo, la proposta di introdurre le quote nei Consigli di Amministrazione delle società.
Si può ovviamente essere d’accordo o meno, ma le reazioni negative sono esagerate. C’è chi parla di “ennesima norma discriminatoria a privilegio di un sesso su un altro”, chi di mortificazione del merito, chi  vede difficile praticare quote rosa nei CdA, chi è arrivato addirittura a parlare di lesione dei principi costituzionali.
Partiamo dai fatti e cioè dalla proposta di legge, approvata dalla Commissione Finanze, sulla composizione dei Consigli di Amministrazione delle società quotate. Nella sostanza si dice che essi devono prevedere nella loro composizione un certo equilibrio tra uomini e donne e si definisce un  limite minimo di presenze al di sotto del quale non si può andare: su dieci componenti almeno tre devono essere donne; o viceversa di uomini, anche se ad oggi il viceversa è solo teoria. L’applicazione della legge decorre dal primo rinnovo dei Consigli di Amministrazione (e dei Collegi sindacali) delle società.
Quali sono le motivazioni alla base di questa proposta? L’affermazione del principio di eguaglianza/equità? Anche, ma non è solo questione di principio, è questione di “convenienza”: le aziende che hanno studiato l’argomento hanno verificato che una presenza mista nel top management serve ad incrementare i risultati sia finanziari sia organizzativi. Il che vuol dire: squadra mista vince.
Lo hanno verificate in tanti: alcune aziende, lo studio del professor Michel Ferrary della Ceram School di Parigi, che ha tenuto sotto controllo i comportamenti delle banche francesi nell’anno 2008; lo ha confermato il 4° rapporto McKinsey presentato nei giorni scorsi a Dauville, Francia, dal titolo significativo “Women matter” (le donne contano, nel senso di “conta che ci siano le donne, perché fanno la differenza”). Questo è il quarto rapporto sull’argomento e ancora una volta viene confermato che una squadra mista nei livelli dirigenziali è fattore che determina migliori prestazioni aziendali. Chi studia questi fenomeni ha idee molto chiare, chi non li studia continua a rimanere prigioniero degli stereotipi culturali, quasi sempre sessisti, e, se è in posizione di potere, toglie la possibilità all’azienda di fare meglio non capendo che una squadra mista la fa funzionare in modo più soddisfacente.
Purtroppo i cambiamenti sono lenti, a volte perché si ha paura, a volte semplicemente perché si è pigri o ignoranti. Ben venga quindi la proposta di legge della Commissione Finanze che osa sfidare i luoghi comuni così diffusi, anche dal punto di vista giuridico.
A coloro che si stracciano le vesti e parlano di Costituzione violata, ricordo che, insieme alla Costituzione italiana, siamo al pari soggetti alla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea che all’articolo 23 dice: “La parità tra uomini e donne deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro, di retribuzione. Il principio di parità non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato.”

* Presidente Internazionale Socialista Donne

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