Essere donna non è la stessa cosa in tutto il mondo

8 marzo. Dall’Islanda allo Yemen, quante ragioni per festeggiare o no

Giovedì 8 marzo 2012, 101° anniversario della giornata internazionale delle donne, e ancora una volta mi chiedo se noi donne, la metà abbondante della popolazione del mondo, abbiamo motivo di festeggiare o meno.
E’ una domanda che le donne si pongono da un secolo, essendo questa data un’occasione per fare un bilancio delle conquiste che le donne, soprattutto grazie ai movimenti femminile e femministi, hanno raggiunto, ma anche delle brusche frenate, quando non degli arretramenti, che ancora oggi sperimentiamo. Nulla deve essere mai dato per scontato né ritenuto conseguito una volta per tutte. L’Italia degli ultimi anni è un esempio di come l’immagine e il ruolo delle donne possano cambiare, e non certo per il meglio.
Ci sono motivi di soddisfazione se guardiamo all’andamento delle statistiche che lo World Economic Forum da anni puntualmente pubblica nel suo Global Gender Gap Report (Rapporto Globale sul Divario di Genere): ben l’85% dei 135 Paesi presi in considerazione (su 193 membri delle Nazioni Unite) ha fatto progressi negli ultimi sei anni.
Il Rapporto misura quello che viene definito “gender gap”, cioè le disuguaglianze tra gli uomini e le donne, con criteri oggettivi e comparabili, negli ambiti della economia, della politica, dell’educazione a tutti i livelli - dalla primaria alla post universitaria -, e alla salute nel suo insieme - compresa la longevità. E’ un rapporto interessante e soprattutto utile per diffondere presso una audience internazionale la consapevolezza delle sfide che queste disuguaglianze comportano e delle opportunità che la loro riduzione promuove.
I dati sono comparabili e quindi consentono di stabilire una sorta di classifica dei Paesi “amici delle donne” (women’s friendly), tant’è che il quotidiano inglese The Independent pubblica un interessante articolo dove elenca sia i Paesi eccellenti, cioè il luogo migliore nel mondo per una donna per essere madre, piuttosto che lavoratrice, piuttosto che leader politica … sia quelli dove le donne sono più discriminate, in sintesi dove noi donne stiamo meglio e dove stiamo peggio. Il principio di fondo che guida l’analisi è la parità: uguaglianza assoluta dove gli indicatori maschili e femminili sono pari, ma anche super uguaglianza per i casi in cui le donne sono meglio piazzate che gli uomini, casi rari ma esistenti.
Le sorprese sono numerose.
Il miglior posto per una donna dove vivere è l’Islanda se consideriamo insieme i quattro indicatori del rapporto: la partecipazione politica, l’istruzione e la formazione, il lavoro e le opportunità economiche, la salute in generale e la speranza di vita. Agli ultimi posti Mali, Pakistan, Chad, Yemen.
Se invece analizziamo i singoli ambiti, il miglior Paese per la politica è il Ruanda dove le donne occupano 45 degli 80 seggi parlamentari
Il miglior posto per accesso all’educazione universitaria e post universitaria è sorprendentemente il  Qatar dove una donna ha cinque possibilità in più di un uomo di frequentare l’università, mentre l’Italia è al 36° posto, non male rispetto ad altri indicatori.
Il miglior posto per essere madri è la Norvegia, il peggiore l’Afghanistan. Se parliamo di opportunità di accesso al mercato del lavoro, il Burundi vince tutti essendo l’unico Paese al mondo dove il tasso di attività femminile (92%) supera quello maschile di quattro punti percentuali (88%).
Il miglior Paese dove partorire in sicurezza è la Grecia, il peggiore è il Sud Sudan, il neonato Stato dove le levatrici sono meno di venti per una popolazione di 30 milioni.
Il miglior posto per essere al vertice della politica, come capo di Stato o di governo, è lo Sri Lanka  dove per 23 degli ultimi 50 anni le donne sono state presidenti; a seguire l’Irlanda con 20 anni di presidenza al femminile. Interessante notare che dei 135 Paesi considerati, solo 43 hanno sperimentato una presidenza femminile, la maggior parte di essi per meno di tre anni.  Attualmente sono 19 le donne in questa posizione di vertice su quasi 200 Paesi del mondo.
Nelle arti la Svezia batte tutti soprattutto per la produzione di film e la Danimarca per il tempo libero, perché le danesi dedicano al lavoro non retribuito, cioè lavoro domestico e di cura, solo 57 minuti in più degli uomini.
L’India è il posto ideale per essere taxiste; al contrario l’Arabia Saudita è l’unico Paese al mondo in cui le donne non possono guidare. Il coraggio di alcune donne che mesi fa hanno osato sfidare il divieto non è servito a far cambiare la legge; però è stato loro concesso di votare  per la prima volta tra alcuni anni. Vedremo.
In quale punto della classifica complessiva stanno le donne italiane? Eravamo al 77° nel 2006, oggi siamo al 74° con un picco positivo nel 2008 (67°) prontamente ribassato l’anno successivo. Guardando il nostro posizionamento per singoli indicatori possiamo dire che siamo negativamente stabili quanto a opportunità economiche, il dato peggiore; in peggioramento nell’ambito scolastico, soprattutto per il grande passo avanti fatto da altri Paesi, mentre i nostri rapporti uomini/donne sono rimasti stabili. Il dato relativamente positivo è quello della partecipazione politica dove saliamo nella classifica dal 72° posto al 55°. Effettivamente il numero delle donne in Parlamento è quasi raddoppiato negli ultimi sei anni. Buono il trend, ma negativo il livello, se pensiamo che per ogni donna in parlamento vi sono 5 parlamentari uomini sia al Senato sia alla Camera. Siamo cioè a due terzi di strada rispetto al 33% indicato dalle raccomandazioni europee come soglia minima per avviare un discorso di parità.
In conclusione: abbiamo ragioni per festeggiare l’8 marzo? Credo piuttosto che ancora dobbiamo rimboccarci le maniche.

Pia Locatelli
Presidente Internazionale Socialista Donne

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