Nei giorni scorsi, per la terza volta da quando il Paese non è più nelle mani dei Talebani, si è votato in Afghanistan per eleggere il Parlamento (si votò la prima volta nel 2005 ancora per il Parlamento e nel 2009 per scegliere il Presidente).
Non tutto è filato liscio: la sola giornata di elezioni ha visto più di 300 attentati, una ventina di morti - ma c’è chi dice che siano più di 40 -, oltre 100 feriti e alcune decine di persone rapite tra le file degli 85.000 impegnati a rendere possibili le elezioni. Ma, nonostante le condizioni di estrema difficoltà, il processo di democratizzazione di questo martoriato Paese ha fatto un altro passo avanti.
In primis: migliaia di persone che hanno lavorato per avere “free and fair elections” sono un chiaro segno di voglia di democrazia. Essere riusciti a organizzarle è quasi un miracolo ed il merito va a Staffan de Mistura, capo della missione ONU, sempre presente nelle zone difficili del mondo. Per eleggere 249 parlamentari sono stati istituti più di 5.800 seggi, che hanno funzionato per oltre il 90%, e questo è già da solo un successo: un seggio è un bersaglio fisso esposto al rischio di attentati per un’intera giornata. Oltre 2.500 sono state le candidature, delle quali quasi la metà rappresentata da giovani; le donne candidate sono state 400 e almeno 69 saranno elette perché la Costituzione impone una quota del 25%. Si vota per collegi uninominali e i candidati sono riconoscibili attraverso simboli semplici, vicini alla realtà quotidiana - una pecora, due ferri da stiro… - per consentire il voto degli, e soprattutto delle, analfabeti/e. A conclusione della giornata il 40% della popolazione è andata a votare; i risultati si conosceranno non prima di un mese.
Molta stampa italiana ed internazionale ha commentato negativamente queste elezioni, mettendo in risalto soprattutto i brogli, le violenze e la compra-vendita di voti. Critiche sono state rivolte al fatto che quasi tutti i parlamentari uscenti si sono ricandidati, e saranno rieletti per l’80%. Anche la partecipazione al voto è stata considerata insufficiente.
Una valutazione ingiusta, superficiale e soprattutto poco generosa. Certamente noi italiani non possiamo dare lezioni a nessuno sulle ricandidature: siamo alla 16a legislatura e quindi dal 1948 ad oggi abbiamo eletto circa 14.500 parlamentari, ma i nomi sono troppo spesso gli stessi, infatti nel nostro Parlamento si sono avvicendate all’incirca 3.000 persone. Il 40% di partecipazione al voto, in un Paese che possiamo definire in guerra e a rischio di attentati, è sicuramente positivo. Nelle elezioni europee dello scorso anno ha votato il 47%: il confronto non merita commento.
Infine le donne: non sono molte le candidate, rappresentano circa il 16%, ma per una donna candidarsi in quel Paese richiede un grande coraggio ed ogni candidatura per me vale il doppio... Auguri alle candidate afghane, quale che sia il loro partito. Le elette saranno il 25% dell’assemblea parlamentare, più della presenza femminile italiana che ancora non raggiunge il 20%. Noi ci consideriamo un Paese avanzato, ma poi non siamo capaci di introdurre le quote rosa, in nome di un liberalismo che parla di merito e non dà risultati, e sì che non ci vuole il coraggio delle donne afghane...
Pia Locatelli
Presidente dell’Internazionale Socialista Donne
Non tutto è filato liscio: la sola giornata di elezioni ha visto più di 300 attentati, una ventina di morti - ma c’è chi dice che siano più di 40 -, oltre 100 feriti e alcune decine di persone rapite tra le file degli 85.000 impegnati a rendere possibili le elezioni. Ma, nonostante le condizioni di estrema difficoltà, il processo di democratizzazione di questo martoriato Paese ha fatto un altro passo avanti.
In primis: migliaia di persone che hanno lavorato per avere “free and fair elections” sono un chiaro segno di voglia di democrazia. Essere riusciti a organizzarle è quasi un miracolo ed il merito va a Staffan de Mistura, capo della missione ONU, sempre presente nelle zone difficili del mondo. Per eleggere 249 parlamentari sono stati istituti più di 5.800 seggi, che hanno funzionato per oltre il 90%, e questo è già da solo un successo: un seggio è un bersaglio fisso esposto al rischio di attentati per un’intera giornata. Oltre 2.500 sono state le candidature, delle quali quasi la metà rappresentata da giovani; le donne candidate sono state 400 e almeno 69 saranno elette perché la Costituzione impone una quota del 25%. Si vota per collegi uninominali e i candidati sono riconoscibili attraverso simboli semplici, vicini alla realtà quotidiana - una pecora, due ferri da stiro… - per consentire il voto degli, e soprattutto delle, analfabeti/e. A conclusione della giornata il 40% della popolazione è andata a votare; i risultati si conosceranno non prima di un mese.
Molta stampa italiana ed internazionale ha commentato negativamente queste elezioni, mettendo in risalto soprattutto i brogli, le violenze e la compra-vendita di voti. Critiche sono state rivolte al fatto che quasi tutti i parlamentari uscenti si sono ricandidati, e saranno rieletti per l’80%. Anche la partecipazione al voto è stata considerata insufficiente.
Una valutazione ingiusta, superficiale e soprattutto poco generosa. Certamente noi italiani non possiamo dare lezioni a nessuno sulle ricandidature: siamo alla 16a legislatura e quindi dal 1948 ad oggi abbiamo eletto circa 14.500 parlamentari, ma i nomi sono troppo spesso gli stessi, infatti nel nostro Parlamento si sono avvicendate all’incirca 3.000 persone. Il 40% di partecipazione al voto, in un Paese che possiamo definire in guerra e a rischio di attentati, è sicuramente positivo. Nelle elezioni europee dello scorso anno ha votato il 47%: il confronto non merita commento.
Infine le donne: non sono molte le candidate, rappresentano circa il 16%, ma per una donna candidarsi in quel Paese richiede un grande coraggio ed ogni candidatura per me vale il doppio... Auguri alle candidate afghane, quale che sia il loro partito. Le elette saranno il 25% dell’assemblea parlamentare, più della presenza femminile italiana che ancora non raggiunge il 20%. Noi ci consideriamo un Paese avanzato, ma poi non siamo capaci di introdurre le quote rosa, in nome di un liberalismo che parla di merito e non dà risultati, e sì che non ci vuole il coraggio delle donne afghane...
Pia Locatelli
Presidente dell’Internazionale Socialista Donne
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